Raggi di sole in un turbine di vento hanno restituito Cannes alla Costa azzurra e ai festivalieri una tregua dopo il torrente di acqua dei giorni scorsi, senza rimedio, però, per il giro d’affari di bar e ristoranti che in questi giorni, come gli hotel, triplicano i prezzi e invadono con tavolini e trespoli i marciapiedi della Croisette. Ma nonostante il maltempo, la presenza dei visitatori-fans assiepati intorno al Palais è impressionante, ombrelli o no, e rende difficile la circolazione degli addetti ai lavori, numerosissimi, e spesso respinti all’ingresso delle sale per overbooking. Anche l’esercito di poliziotti che sbarra le strade al passaggio delle auto di servizio con a bordo divi e divetti non facilita la vita. Insomma, Cannes esplode e rischia di andare in tilt senza regole né pianificazione “democratica” in una città dominata da decenni dalla destra. Rischia perfino la perdita del suo storico glamour, e della fama di appuntamento clou per registi, attori e produttori come denuncia il docu-film di James Toback, Seduced and Abandoned.
Inoltre, le major di Hollywood, sì, sono tornate, ma il livello dei film vira verso le due stellette, a cominciare dal flop critico del titolo di apertura, Il grande Gatsby. Fa eccezione Behind the Candelabra (Dietro i candelabri) (concorso) prodotto dalla HBO, canale tv Usa a pagamento, l’ultima spiaggia per talenti respinti dagli executives e spia della trasformazione produttiva in corso, l’abbandono del grande schermo a favore delle serie televisive, più avanzate formalmente e più spregiudicate nei contenuti. Così Steven Soderbergh, Palma d’oro 1989 con Sesso, bugie e videotape, Oscar 2000 con Traffic, si è rivolto all’HBO per il biopic eccentrico e “scandaloso” su Wladziu Valentino Liberace, in arte Lee, pianista “pop con un tocco classico” della scena anni ’50 fine anni ’80, e della sua relazione omosessuale con il giovane aspirante veterinario Scott Thorson.
Las Vegas, 1977, Lee Liberace nasconde la vocazione queer con mantelli d’ermellino e abiti lastricati d’oro, tenuta da soirée per le fiammeggianti esibizioni sui palcoscenici di Las Vegas, e i suoi amori gay tra lo stuolo di valletti, autisti, maggiordomi e body-guard. Lee ha la faccia in continua metamorfosi di Michael Douglas, al top della bravura, magnifico come il giovane boy-friend interpretato da Matt Damon, anche lui quasi irriconoscibile, prima con il viso paffuto e i capelli biondi e poi rifatto da Rob Lowe nella parte di un chirurgo senza scrupoli che gli allunga il naso e gli ridisegna il volto a immagine del suo protettore. Nel continuo morphing non proprio digitale fatto di parrucche, protesi e della fossetta sul mento riconquistata da Damon, i due invecchiano e ringiovaniscono insieme, violentati dallo showbiz e scorticati dal bisturi che in primo piano fa sanguinare lo schermo.
Un film dall’involucro soft, tutto luce e kitsch regale, specchi e superfici dorate, pellicce, Jacuzzi, vestaglie di seta, Swarovski, piscine, Rolls-Royce d’argento, anelli come sbadigli, che passeranno provvisoriamente in dote al provinciale amante dei cani, senza famiglia, infanzia passata di casa in casa, due genitori fittizi e un’adozione promessa dal grande Lee, che ogni sera fa il pieno di pubblico con le sue mani indiavolate sulla tastiera.
Il vero Liberace, madre polacca e padre italiano, era un artista riconosciuto, esordiente a vent’anni con la Chicago Symphony Orchestra, interprete di Liszt, acclamato alla Hollywood Bowl, protagonista in tv del The Liberace Show… e ora 54enne idolo delle folle di Las Vegas si concede la caccia a giovani allievi del suo letto faraonico. La superficie dolce da Ocean Eleven s’ incrina nelle mani di Soderbergh, nonostante la presenza di due star del cinema “classico”, Dan Aykroyd, avvocato-manager, e Debbie Reynolds, bambola dai capelli bianchi, madre di Lee. E si “sfigura” come i lineamenti dei due amanti, sorpresi nelle performance sessuali, ed è shock vedere il supermacho Douglas cavalcato da Damon, vertiginosamente ammiccante sotto un parucchino di onde corvine, padre-padrone-amante del ragazzo che si proclama bisex, interdetto a ogni altra relazione, prigioniero nella gabbia-reggia , privato del suo stesso volto.
Una storia vera che Soderbergh accarezza e accoltella, spietato nel mostrare la dipendenza da sesso, droga e dollari, eppure difensore della coppia atipica, anche quando Scott sarà rimpiazzato da un più giovane virgulto, anche quando Lee muore di Aids, per la stampa di anemia, a difesa della sua pubblica eterosessualità… ci vorrà ancora del tempo prima che i marine e le star di basket possano proclamarsi gay. Soderbergh ci regala questo corpo a corpo con il potere e l’amore in una stagione che vede il cinema paralizzato dall’indecifrabilità dei tempi, osservatore muto e distaccato di fronte al cambio di paradigma morale dove non è il “punto di vista dell’elettricista” a dominare, ma una macchina da presa ravvicinata fin dentro il cuore del film.