HBO evviva. Dopo Soderbergh ecco un altro capolavoro con il marchio del canale americano che batte Hollywood con i suoi film radical, e dà “la parola ai giurati”, da Lumet a Stephen Frears. Fuori concorso, Muhammad Ali’s Greatest Fight, storia vera di Cassius Clay che nel 1967 si rifiutò di partire per la guerra in Vietnam perché militante della Nation of Islam, la stessa di Malcolm X , uscito (e ucciso in seguito) per i suo pericoloso accostarsi al marxismo. Immagini documentarie del campione di pesi massimi alternato alla ricostruzione fiction della famosa sentenza della Corte suprema, chiamata nel ’71 a confermare o meno la condanna a cinque anni di carcere inflitta al renitente alla leva. Non solo Lumet, ma anche il Lincoln di Spielberg nell’appassionante requisitoria sul caso del boxeur obiettore di coscienza, con il campo due giganti di attori, Christopher Plummer nelle vesti del giudice John Harlan e Frank Langella in quelle del presidente della Corte, Warren E. Burger, entrambi repubblicani, entrambi colpevolisti. Come si può dire pacifista uno che è contro la guerra, tranne se dichiarata da Allah?
Alla prima seduta, Cassius Clay è spacciato, ma ecco un giovane associato all’ufficio di John Harlan riprende in mano la costituzione americana, mentre fuori sulla strada l’edificio della Corte suprema è preso d’assedio dai manifestanti anti-guerra in Vietnam. Il presidente Burger è devoto a Nixon che lo ha nominato e vorrebbe chiudere il caso, la maggioranza è con lui.
Stephen Frears architetta il suo docu-fiction con ritmo incalzante, scalda le immagini di colori densi, indaga sulla faccia dubbiosa del giudice Harlan, malato di cancro, difensore del diritto, il primo emendamento è sacro, e insensibile alle pressioni politiche. Harlam dimostra “che tra i repubblicani c’è anche gente perbene” sentenzia sardonico l’esponente democratico a favore dell’assoluzione. Ma qual è il cavillo che salva il neo black muslim? Prima di tutto, scopre il giovane legale, una sentenza a favore dei testimoni di Geova, che in nome della religione furono esentati dal servizio militare. Loro bianchi, Cassius Clay nero. Non vorrai, oh Warren E. Burger, fare accusare la Corte suprema di razzismo? “La guerra è contro gli insegnamenti del Corano” dichiara Muhammad Ali, battuto nel frattempo da Frazier, e in quanto alla guerra santa, sostiene Harlan/Plummer, sedotto dalla passione travolgente del suo “allievo”, non è solo islamica, ricordate le Crociate?
Ma il ragionamento decisivo riguarda dio, quando mai Allah dichiarerà guerra a qualcuno? Il monito diventa d’attualità, ieri la macelleria di Londra. Non ci sono prove che Allah abbia mai impugnato la mannaia. Ci sono invece a favore del campione dei pesi massimi, autore di un libro-chiave consegnato nella mani del giudice repubblicano, che cambierà il suo “no” in “sì”, e trascinerà l’intera Corte all’assoluzione, fino a ottenere l’unanimità. Non è un film ma lo diventa nel tocco poliritmico di Sthepen Frears. A volte, l’happy end lo scrive la storia. Mohammad Alì torna sul ring e si riprende il titolo di “campione del mondo più grande di tutti”.