James Toback, il regista omaccione e controculturale di Fingers e Tyson, e Alec Baldwin, la star che sei anni di serial tv hanno scalzato dallo star-system, l’anno scorso a Cannes hanno reso omaggio al più importante festival del mondo, per charme e giro di affari, girando proprio sulla Croisette un mockumentary mezzo buffo e mezzo serio, Seduced and Abandoned, proiezione speciale fuori concorso. I due cineasti statunitensi raccontano intanto se stessi e le proprie gioie e soprattutto i grandi dolori dentro Hollywood e dintorni, poi le bellezze paesaggistiche, culinarie e finanziarie di questa parte di Provenza, dall’arrivo all’aeroporto di Nizza alle grandi terrazze sul mare, dalla monté de Marche all’abbuffata di ostriche e champagne, adornando le tante interviste con rari spezzoni di classici della storia (il film è prodotto da Michael Mailer per HBO) e di foto d’epoca (Sofia Loren, Belmondo, Bardot, Welles, Truffaut, Godard, Hitchcock, etc…).
Punto di partenza dell’operazione: l’importanza per un attore e per un regista delle scene psicologicamente più ardite. La più sconvolgente quella tra Marlon Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi, il film più “pericoloso” di tutti, di frontiera, nella carriera di un attore costretto dal regista a mettere in discussione le zone più intime del proprio inconscio di uomo, senza reti tecniche a sostenerlo. “Per 5 anni Brando non mi ha più voluto rivolgere la parola”, ricorda Bertolucci (che intanto, omaggiatissimo, a Cannes 66 ha presentato ieri la versione 3D de L’ultimo imperatore).
Film così sono stati cancellati dai blockbuster di oggi. Abbiamo i multiplex pieni di film d’azione omologati. Certo, però, che senza omologazione non c’è salto creativo. Dunque l’innesto blockbuster/cinema d’autore è fecondo. Gli americani ormai sono così tornati alla grande sulla Costa azzurra, nonostante recenti freddezze e divorzi politici. Sono alloggiati negli yacht di fronte al Palais, negli hotel di lusso dei dintorni, in agiate ville (ma, ricordiamolo, negli anni 70 c’erano solo tre giornalisti USA tra le palmette, parola di Toddy McCarthy, il veterano critico di Variety) e fanno sentire con la solita involontaria esuberanza da marines la loro presenza sia sugli schermi che in sala, nelle lunghe file e in sala stampa. Più che il “costume”, il calligrafismo turistico però, è il paesaggio interiore del cinema di oggi che interessa i nostri due detective dell’immaginario. Una spietata frase di Orson Welles apre il film: “Un cineasta deve passare il 95% della suo tempo a cercare i soldi per fare un film e solo il 5% per girarlo”.
Da una parte Toback & Baldwin, che fanno spiritosamente i Gianni e Pinotto della situazione, hanno così inanellato interviste a produttori di ogni risma e stomaco, fingendo di cercar finanziamenti per un loro progetto e dando così nel frattempo un quadro più che realistico, scandaloso e divertente di come si ‘mette insieme’ un film. Di come si possa cambiare tutto un concept per le bizze di un finanziatore di Abu Dhabi (“è un emirato? Ma anche New York è un emirato” commenterà il regista). Di come non interessa affatto ai più l’aspetto artistico e culturale – i tycoons ossessionati dal rischio delle immagini innovative – non abitano più qui, ma solo il profitto sicuro. “Volete 50 milioni di dollari? Ma un film con Baldwin non vale sul mercato che un budget di 5 milioni di dollari, al giorno d’oggi. Certo ci fossero Gosling e Chastain, la cosa cambierebbe”….
Dall’altra parte la strana coppia, sostenuta da una colonna sonora colta, griffata Shostakovich, discute di arte, di forme, di festival e anche del rapporto tra cinema e morte (il cinema è la morte al lavoro 24 fotogrammi al secondo, si diceva, ma oggi che il digitale non ha più i fotogrammi?), con i cineasti più interessanti presenti nell’edizione 65: Bernardo Bertolucci (che ricorda come sia entrato per caso nel cinema, Pasolini abitava nello stesso suo palazzo e i due si scambiavano corrispondenze poetiche, quando a un certo punto lo ha nominato suo aiuto regista per Accattone. “Ma io non sono mai stato su un set” e Pasolini “Neanche io”), Francis Ford Coppola (che non ama troppo Cannes, anzi trova detestabile l’ambiente, con le sue gerarchie, i premi, e ricorda di avere pure buttato all’aria i suoi sei oscar per Il Padrino), Roman Polanski (ancora innamorato della scuola di cinema di Lodz e della bellezza sconvolgente dei laghi Mazuri, dove ha ambientato Il coltello nell’acqua e ancora perplesso per la ‘contestazione’ del 68), Martin Scorsese (che illustra la difficoltà di una scena magistrale con Joe Pesci in Quei bravi ragazzi), e Ryan Goslin, Jessica Chastain, James Caan, Berenice Bejo…
La parte divertente, quasi alla Michael Moore, è la prima, la ricerca spasmodica di un partner produttivo per un fantomatico film d’azione e sesso da ambientare nell’Iraq della guerra: titolo Ultimo tango sul Tigri. E dunque quando si inventano appuntamenti con il gotha e il gotha bis della produzione internazionale, da Medavoy (ex Orion) a Jeremy Thomas (il braccio produttivo spesso di Bertolucci), da Katzenberg (che sta dietro a Shrek) a Marc Damon, l’ex figlioccio di Corman oggi nel grande business. La parte più teorica è nell’interessante confronto tra i cineasti, le loro poetiche, il loro differente modo di sconfiggere la morte con l’eternità delle loro opere. Fino al ciak finale di Toback. Ogni vita finisce nel nero, all’improvviso. Proprio come in un ‘the end’.