Captain Fantastic
Il racconto di un ritorno alla Natura tra utopia e realtà, intelligente e spassoso, irriverente e insieme commovente
Rifiutare le logiche coercitive del capitalismo e del consumismo, o in senso lato quelle del mondo “civilizzato”, per ritornare definitivamente e liberamente alla Natura è stata l’utopia prediletta di tutto un filone del pensiero occidentale, da Rousseau in poi.
Ma Ben, protagonista dell’irriverente, spassoso e assieme commovente Captain Fantastic, ha fatto di questa fascinosa chimera una solida realtà: ha cresciuto i suoi sei figli nella foresta, lontano dall’ottusità e dalla violenza di una società sempre più nevrotica e oppressiva. I ragazzi sanno cacciare, scalare ripidissime pareti rocciose e perfino accendere fuochi con le pietre, ma non per questo trascurano l’allenamento intellettuale: leggono Eliot, Dostoevskij e Nabokov, ascoltano Bach, discutono di fenomeni quantistici e parlano l’esperanto. Meditazione, studio e musica insieme a un duro esercizio fisico e alla cura dell’orto scandiscono le loro tranquille giornate.
Questo incanto perfetto viene però bruscamente guastato dalla terribile notizia della morte della madre, da tempo ricoverata in ospedale; la bizzarra e affiatata tribù, valigie alla mano, dovrà quindi intraprendere un viaggio e confrontarsi inevitabilmente con il mondo esterno per darle l’ultimo saluto. L’impatto non sarà tanto destabilizzante per i figli quanto doloroso per il padre: già lacerato dal dolore per la perdita della moglie, Ben sarà costretto a mettere per la prima volta in discussione la legittimità e la giustezza del suo sistema educativo.
Alla sua seconda regia, l’americano Matt Ross – già attore per Terry Gilliam, Martin Scorsese e George Clooney – coinvolge e conquista con un film che strappa genuine risate ma al contempo condanna definitivamente, pur senza presunzione e manicheismi, una modernità allucinata e folle dominata dall’ignoranza e dall’ipocrisia. Non si può, guardando il film, non parteggiare per Ben (un eccezionale Viggo Mortensen che regge senza fatica il peso di un ruolo più che complesso). Nonostante la sua coerenza sfoci a tratti nell’estremismo, nonostante lui stesso venga infine tormentato e destabilizzato dal dubbio – o forse proprio per questo – non si può non guardare con empatia e affetto a questo personaggio che, con grande coraggio e nella più ostinata solitudine, si batte in fondo essenzialmente per proteggere le persone che ama. Nei suoi insegnamenti la libertà e l’autonomia convivono con il rispetto e la disciplina, la fantasia e l’immaginazione con la concretezza e il pragmatismo, nella convinzione che la lealtà e la sincerità siano il necessario presupposto di ogni possibile interazione umana, intima o sociale.
L’America dei fast-food e del perbenismo protestante non è mai stata tanto misera e ridicola come attraverso gli occhi innocenti – e pure così saggi – dei piccoli protagonisti; e tuttavia Ross si guarda bene dall’infierire su un mondo i cui disequilibri sono già lampanti e macroscopici di per sé. Preferisce infatti un eloquente umorismo al sarcasmo e all’ironia graffiante, ma non per questo la sua comicità risulta infine meno incisiva. D’altro canto, il regista ci ricorda con doverosa onestà che le scelte di Ben hanno – soprattutto per i suoi figli - un prezzo alto, e che la libertà di una vita “diversa” impone tutta una serie di rinunce ed esclusioni. Lo scioglimento di questo dilemma potrà darsi unicamente nel compromesso: in questo senso, quella che sembrava a un primo livello di lettura una storia bizzarra e anche un po’ naïve, rivela infine tutta la sua profondità e il suo portato di realismo.