I due volti di Gennaio
Stile classico e ottimo tris d'attori non riescono a far emergere il film d'esordio di Hossein Amini, tratto da un complesso romanzo di Patricia Highsmith
Fin da subito I due volti di gennaio svela l’intenzione di guardare al passato cinematografico, di affiancare all’ambientazione temporale dei primi anni Sessanta uno stile piano e posato, in cui tutte le tensioni che si caricano nel corso della narrazione si esplicano principalmente attraverso gli sguardi e i gesti degli attori. Hossein Amini, sceneggiatore iraniano a lavoro ad Hollywood, esordisce alla regia guardando ai personaggi e ai corpi del cinema di Hitchcock, ai personaggi apparentemente qualunque coinvolti in thriller psicologici pressoché privi di azione fisica ma carichi di violenza potenziale. Un’aggressività potenziale, covata, tenuta a stento a freno da dietro la raffinatezza espressa da eleganti vestiti di lino bianco.
A raccogliere ed esprimere quest’intenzionalità è il corpo asciutto e nervoso di Viggo Mortensen, che ancora una volta si dimostra attore capace di esprimere l’interiorità psicologica del suo personaggio attraverso il gesto fisico. Fin dalle prime immagini filmate da Amini, in cui vediamo Chester MacFarland e sua moglie Colette girare abbracciati per il Partenone, il corpo di Mortensen, l’eleganza della sua posa, rimandano ad un cinema di tensione fuori dal tempo, il cui senso di classicità è accentuato dalla bellezza eterea della sua accompagnatrice, Kirsten Dunst. Ma la raffinatezza è soltanto una posa. Truffatore in fuga dalle sue vittime, MacFarland è in realtà un uomo piccolo e meschino, la cui inadeguatezza traspira nel sudore alcolico delle sue continue sbronze, uniche occasioni in cui la violenza sopita trova una sua misera via di fuga. Mortensen è bravissimo in questa vera e propria trasudazione, che decostruisce la sua figura così carismatica al punto tale da soccombere al ritrovato rigore morale di Rydal. Il personaggio interpretato da Oscar Isaac è infatti il terzo polo di questo triangolo disfunzionale, generato di fatto dalla sua intrusione ma poi collassato su sé stesso per colpa di MacFarland, la cui meschinità lo spinge al gesto estremo che ne decreta la fine.
Per essere un’opera prima, per di più tratta da un romanzo dal non facile adattamento (omonimo, scritto da Patricia Highsmith nel 1964), I due volti di gennaio funziona e turba, anche se appare a volte fuori fuoco. L’impressione generale è che ad Amini sia mancata la capacità di affondare con uno sguardo più incisivo nella trincea psicologica condivisa dai suoi personaggi, senza riuscire così a restituirne quella complessità donatagli sulla carta dall’autrice. Racconto di ossessioni e pulsioni le cui origini sono sepolte nell’inconscio, I due volti di gennaio rischia allora di confondere un rigore dal gusto classico con l’assenza di personalità e coraggio. Non conforta in tal senso leggere una dichiarazione di Amini in cui la dualità del dio Giano bifronte cui fa riferimento il titolo dell’opera viene ricondotta al rapporto contradditorio tra MacFarland e Rydal, per certi aspetti due facce della stessa medaglia. Nonostante i due personaggi condividano sicuramente aspetti della propria personalità, questa visione non centra il cuore del film, ovvero la figura del padre.
Rydal infatti all’inizio del racconto decide di seguire ed aiutare MacFarland per l’estrema somiglianza fisica che questi ha con suo padre, morto da poco in America. E Giano, prima di essere il dio bifronte, è il Janus Pater, il padre di tutti gli uomini e della natura. La dialettica allora non si esercita tra i due personaggi in conflitto, ma vive prima di tutto nei due volti del padre, nel rapporto tra lo sguardo del figlio e la realtà che vi è oltre. “Scusami se ti ho deluso” dirà alla fine del film Chester MacFarland, accettando apertamente il ruolo di surrogato genitoriale che lo lega a Rydal. Ogni figlio nel corso della propria vita vive quel momento in cui il mito della figura paterna si scontra con la realtà, e l’idealizzazione dell’amore filiale è chiamata a fare i conti con i limiti e le debolezze di ciascuno. E’ in questo spiraglio tragico che vive I due volti di gennaio, anche se Amini non sembra purtroppo averne compreso o voluto sottolineare la portata drammatica.