Falcon Lake
Al TFF 40 un coming of age fantasmatico dalla graphic novel di Bastien Vivès.
In concorso alla 40°edizione del Torino Film Festival, Falcon Lake è il primo lungometraggio realizzato dalla canadese Charlotte Le Bon, tratto dalla graphic novel di Bastien Vivès (Una sorella). Coming of age immerso nell’affascinante e selvaggia natura del Québec, il film di Le Bon è attraversato da un’atmosfera fantasmatica e dal risveglio del desiderio adolescenziale.
Bastien è in vacanza nella villa di amici di famiglia; la proprietaria ha una figlia, Chloé, con cui sboccia un rapporto intimo e ambiguo. Ci sono molte differenze rispetto al “carnale” fumetto di Vivès, Falcon Lake è infatti un film che resta su un'atmosfera inafferrabile cercando più di suggerire che di mostrare. Il film inizia con il corpo di una ragazza che galleggia nel lago, subito si pensa a un cadavere ma dopo poco la ragazza si muove e inizia a nuotare.
Inizialmente Chloé respinge e prende in giro il suo compagno di stanza, un Bastien “quasi quattordicenne" ancora un po’ immaturo e impacciato per l’impetuosa Chloé. Immersi in questa natura che invade i corpi dei protagonisti, i due giovani iniziano ad avvicinarsi, si conoscono, condividono i loro segreti, bevono, fumano, fingono di essere quello che vorrebbero. Le Bon, già attrice, dirige un racconto di formazione che traccia un legame crescente avvolto dal mistero, così come i luoghi in cui passano le vacanze sono avvolti dall’oscura presenza forse di un fantasma del lago o di qualche tragedia avvenuta tempo addietro. Se dapprima Chloé rifugge le attenzioni di Bastien, con il passare dei giorni i due diventano complici, suggerendo che forse nel giovane protagonista, alter ego di Vivès, sbocciano tormenti e delizie del primo amore, anche con qualche bugia e tradimento.
I personaggi secondari sono poco incisivi in Falcon Lake, così come gli adulti quasi assenti, una scelta voluta che sottolinea lo sguardo del protagonista diretto solo verso Chloé. Nulla sembra scalfire la calma e la comprensione che si instaura tra i due protagonisti quando i loro corpi sono l'uno vicino all'altro. Ma la cosa più sorprendente del film di Le Bon è la perturbante presenza di qualcosa che non vediamo e di cui comunque percepiamo l’esistenza, qualcosa che capiremo solo nel folgorante e malinconico finale. La regia è discreta, il ritmo sospeso e misurato, Charlotte Le Bon sceglie il formato 4:3 e gira in 16mm, una volontà precisa che dona al film un senso ancora più claustrofobico e perturbante.