Clementina
El Pampero Cine mette in scena le idiosincrasie di una convivenza in lockdown, tra oggetti accumulati e spazi da ricalibrare.
Tra i tanti aspetti che hanno riguardato la pandemia, con ampie conseguenze ed effetti su tutta la quotidianità, uno dei più segnanti è stato sicuramente la gestione e il rapporto con lo spazio, tanto quello urbano e pubblico quanto quello domestico. Con una significativa e complessiva risemantizzazione dello spazio che abitiamo, che in molti ambiti perdura tuttora, si sono mostrate nuove esigenze che possono aprire a un rinnovato assetto individuale e sociale. Il cinema ha saputo tracciare tali implicazioni, ad esempio in Kimi di Steven Soderbergh, nella connessione con l'immagine e il digitale, ma ha saputo anche originarsi da questa spazialità, come nel caso di Clementina.
Il film diretto da Constanza Feldman e Agustín Mendilaharzu - al suo esordio alla regia di un lungometraggio, dopo una lunga attività come operatore e direttore della fotografia dei film di El Pampero Cine - nasce come un gioco, nei giorni del Lockdown. I due protagonisti hanno iniziato a filmare quasi per necessità, per occupare i giorni di confinamento, dando così, attraverso il cinema, una nuova forma al loro spazio e alla quotidianità. L'idea embrionale di un cortometraggio è andata via via espandendosi e sviluppandosi, sino a comporre un mosaico (in pieno stile El Pampero Cine) di segmenti di vita ordinaria, che si traducono in un racconto ironico e personale. Da un'originaria pulsione semi documentaristica emerge una finzione sempre più consapevole e strutturata, e gli elementi della realtà vengono plasmati e trasformati con una rifrazione quasi fantastica, arricchita dalla musica medievaleggiante composta da Gabriel Chwojnik.
Spesso gli oggetti sono generatori di relazioni e spazi, sono mediatori tra noi e il mondo, come sosteneva Roland Barthes, e Clementina sembra proprio ruotare attorno a questa riflessione. Gli oggetti sono i protagonisti aggiuntivi del film, riecheggiando il cinema di Buster Keaton e soprattutto Jacques Tati, per l'iperrealismo dei suoni, e sono al centro dei momenti più divertenti e bizzarri. Ma soprattutto sono la prima connotazione data all'ambiente, con la casa in cui la coppia trascorre il Lockdown che è ricolma di oggetti in ogni anfratto, a formare dedali inestricabili (sembrano persino dotati di vita propria, come quando i frutti "cercano di fuggire" dalla borsa della spesa), mentre nella seconda parte la loro assenza esprime un mutamento e un nuovo equilibrio. È proprio attraverso questa costante relazione coreografica tra personaggi, spazi e oggetti che Clementina riesce a mettere in scena con semplicità l'intreccio tra la vita di coppia e un isolamento forzato, alla ricerca di una rinnovata stabilità che passa anche attraverso una risignificazione dell'ambiente in cui viviamo e operiamo.