Cop Car
L'anomalo, desolante road thriller con Kevin Bacon scandaglia il vuoto della provincia americana.
Se Gordie Lachance e Chris Chambers, in quella calda estate nella disperazione della provincia americana, bighellonando tra boschi e campagne, invece che in un cadavere si fossero imbattuti nell’auto incustodita di uno sceriffo, e il loro ingenuo immaginario anziché di letture e racconti fantastici fosse stato pieno zeppo del più dispersivo e desolante marasma audiovisivo degli ultimi decenni, probabilmente non avremmo visto il kinghiano Stand by Me di Rob Reiner ma Cop Car di Jon Watts.
È proprio verso quell’immaginario da b-movies che pare lanciare il suo film il regista americano, quando decide di mettere due ragazzini turbolenti in età prepuberale alla guida di un’auto della polizia per poi farli sfrecciare come mine impazzite e sghignazzanti attraverso la vastità del Midwest, inseguiti da un poliziotto non così onesto e dal sanguinario effetto domino che la loro ragazzata ha inevitabilmente innescato.
Dopo aver rivisitato, non senza ironia, l’horror con il film d’esordio Clown, Jon Watts, con la stessa attitudine, si rituffa nell’immaginario di genere, proprio in quell’immaginario che, come i suoi protagonisti, deve aver nutrito le sue giornate di ragazzino, dando vita a un thriller on the road arido e spiazzante, anomalo e sorprendente.
Con la sicurezza di una regia senza fronzoli, scarna come i desolati, mitici spazi che fotografa, tra insistiti campi lunghi, dettagli e attese, Watts mette in scena una vicenda inedita e contemplativa, semplice ed essenziale che fa del minimalismo formale e narrativo il suo punto di forza.
Giocando con registri diversi, fondendo con grande abilità black-comedy e dramma, avventura infantile e gangster movie, Cop Car travalica i confini del genere con una naturalezza e una semplicità disarmanti pur rifuggendo qualsivoglia urlata ambizione sociale o politica.
Sì, perché nella corsa incosciente e giocosa dei due ragazzi, tra sfide di velocità, incidenti sfiorati, armi d’assalto e giubbotti antiproiettile, e in quella omicida e speculare del corrotto sceriffo dai nevrotici tratti di un Kevin Bacon più che mai in parte, c’è l’immagine stessa di una società arrivata al capolinea, a un vuoto valoriale che nemmeno l’innocenza dell’infanzia può salvare, anch’essa fagocitata, tramutata in parte essenziale di quel meccanismo cannibale.
Ma sebbene le premesse per farsi parabola sulla bruttura e la deriva del nostro presente ci siano tutte, Cop Car sceglie piuttosto di puntare sulla sottrazione, suggerendo soltanto quel mondo dove giustizia e valori sono definitivamente e irrimediabilmente stati compromessi, concentrandosi sull’azione, senza ellissi o spiegazioni (perché i due ragazzini sono in fuga da casa? In che rapporti è lo sceriffo con gli uomini di cui vuole sbarazzarsi?), senza dialoghi di spessore, puntando tutto sugli sguardi, il sangue e l’asfalto.
Tra l’exploitation e il cinema dei Coen, dove dall’evento più banale può scaturire un intero universo di sanguinose possibilità, nella sua veste scarna ed essenziale Cop Car si dimostra capace di disegnare, con pochi, significativi tratti, un mondo alla deriva, dove anche l’innocenza ha vita breve, in una vicenda assurda e tragicomica che sputa, dolente, su qualsiasi flebile speranza.
Come un fulmine a ciel sereno, rombante come un tuono, questo piccolo, misurato thriller che ha gli echi distorti di un western crudele e la forza improvvisa e folgorante della rivelazione conquista per la sua immediatezza, per la sua grottesca tragicità, confermando il talento di un nuovo, abile regista di genere.