Dark Places - Nei luoghi oscuri
Affossato da un’imbarazzante superficialità di sguardo e intenti, il nuovo film tratto da un romanzo di Gillian Flynn è un finto noir senz'anima che naufraga nel procedural televisivo.
Come per le regine della narrativa di genere americana (Patricia Cornwell con Kay Scarpetta, Kathy Reichs con Temperance Brennan), anche la scrittura di Gillian Flynn ruota attorno a figure femminili forti, spesso calate in contesti di violenza estrema.
Nonostante ciò, i tre romanzi finora scritti da Flynn sono lontani dai procedural polizieschi delle colleghe citate; più simili al noir torbido di Dennis Lehane, sono crime costruiti attorno a donne controverse e pericolose, opposte allo stereotipo che vuole vedere il femmineo come un’entità imprigionata in una gabbia di innocua ingenuità, classica vittima da salvare prima che il film finisca. Come mostrato sullo schermo da L’amore bugiardo – Gone Girl, nella narrativa di Flynn la figura della femme fatale è ancora viva e vegeta.
Tratto dal secondo romanzo della scrittrice, Dark Places – Nei luoghi oscuri ha tuttavia poco a che fare con la vertigine hitchcockiana di Fincher. Pur essendo un’altra storia al femminile, il film di Gilles Paquet-Brenner racconta di un personaggio a suo modo positivo, per quanto profondamente contraddittorio e non privo di asperità.
Incarnata da una sempre combattiva Charlize Theron, Libby Day è aggressiva e solitaria, ancorata economicamente alla tragedia familiare che l’ha resa unica sopravvissuta di una notte di violenza. Da quel lontano evento scaturisce l’indagine a ritroso della storia, un ripercorrere i fili del passato e della memoria sotto la spinta di un’ossessione che investe il proprio sangue di un corredo corrotto e fatale. Potenzialmente un noir familiare sul confronto con il trauma e la seguente liberazione, nei fatti un dramma familiare mal vestito da thriller e incapace di ricreare alcuna suggestione del genere.
Affossato da un’imbarazzante superficialità di sguardo e intenti, Dark Places è un film in cerca d’autore, o almeno di un regista capace di tenere le redini della narrazione con ritmo e verve cinematografica. Paquet-Brenner si conferma invece un regista non tanto impersonale, che non è mai un problema in sé, quanto piuttosto un mestierante di scarso livello, incapace di rinvigorire una trama - già di per sé a rischio - che nelle sue mani si trasforma in una lunga e noiosa puntata da procedural televisivo. A questo punto a poco serve il cast ricercato (splendida Christina Hendricks negli inediti panni di una madre disperata a tal punto da scendere a patti con la morte) e l’insistenza didascalica sui temi portanti del film, Dark Places rimane un finto noir senza anima, senza autentica ossessione, senza un senso del racconto che permetta ai personaggi di veicolare compiutamente il dolore di cui si dovrebbero fare carico.