Halloween (2018)
Il sequel prodotto da Carpenter riporta al centro il tema del Male e gioca con il ribaltamento tra preda e cacciatore, tuttavia Gordon Green non sembra davvero entrare nelle logiche del genere horror.
Come reagisce l’essere umano posto a contatto con il Male assoluto? È soprattutto attorno a questa domanda che ruota l’Halloween di David Gordon Green, ritorno alle origini che pone di nuovo al centro del discorso la natura metafisica di Michael Myers. Scansata la lettura iperrealista di Rob Zombie, “The Shape” torna ad essere una macchina omicida priva di umanità, un pozzo di oscurità che non può parlare o comunicare in alcun modo e che avvolge chiunque gli sia intorno suscitando fascinazione, emulazione, curiosità morbosa di sapere cosa si provi a togliere una vita. Al polo opposto dello spettro c’è chi invece non desidera altro che cancellare quella che considera un’entità maligna priva di speranze. Prima che Laurie Strode è già Loomis – deceduto nella cronologia del film ma presente tramite una registrazione vocale – ad augurarsi che Michael possa morire al più presto, mentre la sorella attende anno dopo anno che il fratello scappi dal centro di detenzione, così da poter chiudere i conti in prima persona. Che sia desiderio di scoperta o sete di vendetta, in qualche modo nessuno dei personaggi riesce ad allontanarsi da Michael, nessuno è davvero intenzionato o in grado di superare quanto accaduto 40 anni fa.
Più che un horror, questo Halloween è un’operazione sull’horror, un film che cerca un dialogo e un gioco costante con una tradizione ormai entrata nel mito. Nessuna rilettura approfondita o estensione degli elementi in campo, la sceneggiatura di David Gordon Green, Danny McBride e Jeff Fradley punta piuttosto sul ritorno alle atmosfere originali, come la zucca marcita che durante i titoli di testa ritorna in time-lapse alla sua forma originaria. Senza abbracciare alcun elemento della contemporaneità, stilistico o tecnologico, il film si nutre delle atmosfere horror a cavallo tra i ’70 e gli ‘80, inonda l’inquadratura di luce soffusa e musica in synth (composta per l’occasione da John Carpenter stesso, coinvolto come produttore esecutivo) ma il risultato non sembra davvero un ritorno alla vita, il gioco di Gordon Green e squadra è freddo e meccanico, come lo sono le tante, troppe scene del film che non inquietano o spaventano ma semplicemente mostrano l’horror nel suo farsi, come un saggio distaccato che enumera tecniche e soluzioni di regia senza saperle veramente mettere in campo. La verità è che questo nuovo Halloween manca di un regista che sappia fare horror e la conseguente è un film pressoché privo di suspense, che tratta i suoi personaggi come carne pronta per il macello. Nonostante mostri in abbondanza sangue e menomazioni, Gordon Green non arriva a suscitare disagio, timore, curiosità, non getta lo spettatore nell’orrore messo in scena preferendo uno sguardo dalla distanza, una decostruzione che smonta il genere senza portare con sé alcuna riflessione aggiunta.
L’unica importante eccezione offerta dal film è il lavoro sulla prospettiva femminile, il ribaltamento del concetto di final girl che non si discosta dalla contro-tradizione ma rilancia comunque con forza l’immagine di una preda che diventa cacciatrice.
Le antagoniste di Michael sono tre generazioni di donne Strode, madre, figlia e nipote che assieme imbastiscono l’unica trappola che possa fermare (apparentemente, un sequel è già in preparazione) la furia omicida di Michael. Ma il lavoro su Laurie va oltre questo scambio di ruoli ed entra nella grammatica stessa del film: è suo il corpo che compare fuori dalle vetrate sotto lo sguardo di sfuggita dei personaggi, è suo il volto che spunta all’improvviso da dietro un angolo. Green, qui sapientemente e in modo efficace, cita apertamente il primo capitolo ribaltando di senso l’inquadratura originale. Il corpo di Laurie prende il posto di quello di Michael perché è lei che, spinta dal trauma, si impossessa del film, infestandolo con i suoi incubi e le sue ossessioni, è lei che dà la caccia al mostro e detta le regole dello scontro. Aiutato da una grande Jamie Lee Curtis, Green riesce qui a giocare con una grande intuizione, dando finalmente al personaggio di Laurie lo spazio che merita.