Dossier Giovanni Cioni / 1 - Dalla deriva del reale

Trascinati dalla forza concentrica del cinema, trasportati sulla spiaggia dove il reale deposita i suoi ultimi detriti.

Tra il lusco e il brusco, in una realtà fumosa e cantata dai racconti di viaggio, tra le calde vampate di un fuoco acceso, dove pirati salgariani ascoltano le storie di intrepidi personaggi di ritorno da lunghi naufragi. Dai racconti reali deformati a volte dalla fantasia dal gioco del racconto. E’ su i volti di questi filibustieri del reale che lo sguardo di Cioni si sofferma, raccontando ogni ruga di esistenza rappresa nei solchi del viso, narrata da i graffi sulla pelle, tra le cicatrici lasciate da una storia.

Da quell’orizzonte lontano, indistinguibile e muto, da quell’ultima spiaggia che accoglie i viaggiatori solitari. Sopra quella battigia dove sbattono i brandelli di una realtà alla deriva. Tra l’arèna dove la sconfitta lascia la sua impronta, dopo che la tempesta ne ha dominato le acque, arenando le anime che l’affrontavano come battelli sulla sabbia tra i racconti di Nessuno. In questo luogo periferico e mitico che sussurra storie gonfie di vita, testimonianze di esistenze in ritorno, è su questa sabbia che il cinema di Giovanni Cioni raccoglie i granelli della realtà che rappresenta.

Un cinema che riassembla i resti di tempeste esistenziali, che recupera i detriti delle avventure di identità straniere e sopravvissute, identità di ritorno da lunghi viaggi corsari. Il ritorno di Ulisse è sempre ispirazione per una nuova avventura da raccontare. Quello che la corrente lascia alla deriva sono i racconti dei disadattati del centro di associazione di Ponterosso a Firenze (Per Ulisse), corpi che si immergono in un mare d’intenso blu, catarsi dell’immensità sull’abisso interiore, nell’animo amaro di esistenze al margine, tra le voci, i volti ed i racconti di chi proviene da una terra lontana, in una realtà al confine sul baratro dell’esclusione, identità che si fanno portavoci e testimoni della loro odissea catabasica. O che sia la voce del sopravvissuto, del salvato, ad essere ascoltata, come le storie che Silvano Lippi racconta, nell’ultimo lavoro del regista, Dal Ritorno, presentato all’ultima edizione del Cinéma du Réel. Le immagini dei suoi ricordi così vividi ed agghiaccianti da non essere credute né dai famigliari al ritorno da Mauthausen né dagli ascoltatori dei racconti - spettatori incapaci di accettare l’orrore insito nell’animo umano e la sofferenza che si calcifica nel cuore e nella mente di chi lo ha subito - vengono transitate nell’immaginario dello spettatore attraverso la parola, strumento penetrante nell’immaginario spettatoriale molto più di un’immagine violenta. Un cinema che si avvale dell’intimità della dedica alla dipartita terrena del personaggio, dedicato a Silvano Lippi ed all’orrore che si è portato dentro fino alla sua morte, un cinema dedicato ad Andrea Cambi, attore toscano interprete del film corto Dal Paradiso, ma soprattutto un cinema-dedica rivolto ai giovani in maturazione, che vogliono ascoltare ed imparare dai testimoni il dolore delle loro avventure.

Per Cioni il cinema è un moto che si alimenta inventandosi, che si nutre del suo processo creativo, che si realizza facendosi. Un’operazione laboratoriale di collettività creativa e realizzativa, un procedimento cinematografico che è allo stesso tempo viaggio, avventura, narrazione, testimonianza, indagine e crescita. Che apre alla realtà che lo circonda, alla collaborazione tra gli agenti del processo creativo, al viaggio cinematografico in quanto scoperta di se stessi e degli altri. Un cinema che pluralizza il soggetto andando a scoprire le identità legate all’altro diverso da noi. Come accade in Nous/Autres, dove le identità tra personaggio e testimone, tra il racconto del sopravvissuto ed il preconcetto dell’esclusione dell’altro, si realizza in un gioco di realtà e rappresentazione che lascia aperti spiragli di profonda riflessione identitaria.

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Con un temperamento da straniero in terra straniera, dovuto al suo essere diviso tra due terre, due culture ed identità, quella italiana e quella francese, Cioni ha saputo restituire delle meravigliose istantanee di città che lui ha voluto raccontare. Oltre a Lisbona e Bruxelles, Cioni ci presenta Napoli. Lo fa iscrivendo la moltitudine della vita all’interno di una bellezza formale composta da una cartolina/immagine della città, come accade nel frammento del film corale Napoli 24 dal titolo Prima di Napoli. Oppure creando risonanza alle voci dei morti che animano il culto delle anime del Purgatorio, orientando lo sguardo verso quella realtà alla deriva, prossima al confine della morte, realizzando un lavoro allo stesso tempo antropologico e poetico. In Purgatorio è un’immersione tra i sospiri del reale, un viaggio onirico tra erranze di esistenze estinte e conservate dalla preghiera e dalla disciplina della pulizia dei teschi da parte di donne in richiesta di grazia. Dal lontano reale che confina con l’intangibile, con il mistero della sensazione, con il sussurro di esistenze estinte, si materializzano i corpi che raccontano delle proprie identità. Cioni pone lo sguardo cinematografico alla stessa altezza morale del cuore, in ascolto del materiale umano che pone di fronte all’obbiettivo. E’ proprio attraverso questa costante intimità che si viene a creare tra il narratore ed il narrato, tra il regista e il personaggio, tra il film e gli elementi del suo realizzarsi, che nei suoi lavori si origina una magia emotiva (suggestiva e partecipativa) che lega lo spettatore alle immagini.

Uno sguardo in osservazione ed in ascolto, che non si intromette prepotentemente ma che accetta, soffermandosi sui silenzi che si creano tra le verità e le bugie di un ricordo. L’importanza del silenzio che apre al fuoricampo, alla pausa tra una risposta data, una teoria della crepa su materiale reale, quel silenzio che lascia trasparire dietro al personaggio l’umanità. Sono i primissimi piani degli intervistati ad esprimere un silenzio muto, contrastato da una loro risposta che proviene dal fuoricampo, da un altrove alla deriva, arrivando a distanziare i luoghi e i tempi ed avvolgendo il tutto in una fluidità metafisica ed evocativa. Un cinema che accetta sempre il suo confine, ed interagisce spesso con esso creando una dialettica tra la realtà e la rappresentazione, tra il profilmico ed il diegetico.

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Il cinema di Cioni lascia al reale la dignità del suo narrarsi, inseguendolo alla ricerca di una possibile narrazione. Questo è quanto accade nel suo lavoro Témoins, Lisbonne, Août 00, un racconto di una Lisbona osservata attraverso il punto di vista curioso dello straniero, un tentativo di raccontare una città attraverso le storie in potenza che in essa si agitano, materiale narrativo alla ricerca di un narratore. Alla ricerca di quegli incipit drammatici in grado di germinare una storia, ponendo l’attenzione in quei luoghi di passaggio, leggendo le storie scritte sui muri, cercando tra le leggende di una città di mare. L’impossibilità di catturare un filo narrativo nel labirinto del reale porterà lo sguardo a dissolversi nell’invisibilità del punto di vista, coincidendo con la rarefazione di storie rincorse ma non raggiunte. Un cinema che si tende per afferrare l’invisibile nel visibile. [1]

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Di fronte ad un film di Cioni si mette in discussione la preesistenza della realtà, lontana dalla sua identificazione prima in immagine e poi in enunciato diegetico, questa sembra crearsi sotto lo sguardo del regista, filmandola sembra arrivare a modificarla, in costante tensione con infinite possibilità immaginative. Cioni modella la materia reale attraverso la fantasia, l’immaginazione nel cinema di Cioni è un intervento necessario, spettatoriale, attraverso il quale poter iniziare ad avventurarsi nelle terre della realtà possibile. È lei che ne Gli Intrepidi trascina la storia, modulandola sulla base dei suoi interventi, concretizzandola come nella scena della nascita dei cannibali, immaginandola come nell’incontro tra Davide e Morgan o comprendendola tra le parole della lettera a David Bowie, arrivando infine a sovrapporla alla realtà, realizzandola nell’incontro con dei veri Pirati; la realtà e la fantasia si manifestano sullo stesso piano spaziotemporale di fronte ad un obiettivo che arriva a concretizzarle.

Un cinema che richiama sempre un intervento partecipativo spettatoriale, che coinvolge l’immaginazione come supplemento necessario, come l’ascolto nei film muti da ascoltare (Rumeur du monde), o attraverso la testimonianza attiva nell’unicità dell’evento condiviso, come nei lavori Olhos/Yeux, realizzati dalla collaborazione con l’artista Marta Wengorovius, o ancora attraverso la visualizzazione (vivida e mentale nello spettatore che ascolta) delle tremende immagini che riescono a suggerire i racconti di Lippi vissuti nel campo di sterminio di Mauthausen e nella sua tragica e precedente odissea della deportazione. Una tragedia che si racconta attraverso l’uso della parola, una parola-racconto in grado di suggerire nella mente dello spettatore le immagini che riempiono e straziano il suo ricordo.

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Un cinema poetico ed eclettico, che nasce dalla contaminazione artistica della videoarte, terreno sul quale lavorerà soprattutto nel primo periodo belga. Cioni utilizza diversi registri artistici uniformandoli in una forma espressiva compiuta, dal lavoro sul teatro sperimentale, il teatro-danza di Alan Platel, che poi si concretizzerà nell’opera Lourdes/Las Vegas, all’uso delle didascalie che come appunti poetici di viaggio suggeriscono ed evocano sentimenti ed emozioni, aprendo a pause di riflessione sulle immagini, invitando a proseguire il viaggio nel fuoricampo della realtà. Un cinema dall’eterogenia delle forme, che si nutre di una molteplicità espressiva, che si fa testimonianza della deriva dell’esistenza, che trascina ed incanta, e noi non possiamo che lasciarci trasportare a largo, sottomessi alle onde concentriche del suo cinema, coinvolti dal loro moto periferico in una perpetua deriva dal reale.

1. - Carlo Cathrian, aprile 2011, Introduzione al Focus a Visions du Rèel.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 23/03/2015

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