Dossier Joe Dante / 10 - Matinée

Dalla cine-archeologia all'incubo atomico: come il cinema guarisce la realtà.

“Un milione di anni fa, un uomo che vive nelle caverne un giorno esce e viene inseguito da un mammut. E’ spaventato a morte ma riesce a fuggire e, quando tutto finisce, si sente felice (…) e così torna a casa, cioè alla sua caverna, e per prima cosa che fa? Disegna un mammut e poi pensa: la gente verrà a vederlo, facciamolo bene, facciamogli le zanne lunghe lunghe e gli occhi cattivi. Il primo film del terrore! Forse è per questo che continuo il genere: gli fai le zanne grandi e grosse quanto vuoi, poi il mostro viene sterminato e tutto finisce bene. La sala torna a illuminarsi. Vedi la gente entrare nella caverna, con la moquette vecchia di secoli, il tizio ti strappa il biglietto, troppo tardi ormai per tornare indietro(…)”

Lawrence Woosley

Joe Dante è un autore troppo sofisticato per far risalire le origini del cinema alla fine dell’Ottocento. La lanterna magica, o almeno qualcosa di molto simile, rivela i propri albori in epoche tanto antiche quanto insospettabili. Con Matinée il regista ci ricorda che può esistere un cinema prima del cinema, una visione che risponda alla necessità di esorcizzare i propri demoni, di purgare occhi, cuore e cervello, di scalfire tutte quelle paure che quotidianamente ci attanagliano.

Il suo film si erge a manifesto di una personalissima cine-archeologia, che fa della riproduzione uno strumento puramente taumaturgico. Ogni cosa è lì per affermare il nostro bisogno di un doppio immaginifico in grado di rieducare e riassorbire il reale. Il cinema può curarci e – cosa fondamentale – deve salvarci attraverso il suo immaginario.

La sala di Key Largo è una sorta di caverna novecentesca, dove le paure più recondite si trasformano in sorprendenti proiezioni di luce. L’intuizione geniale di Joe Dante è quella di considerare la visione su celluloide alla stregua del mostro de Il pianeta proibito: emanazione di forze psichiche, proiezione di fantasmi che provengono dagli strati più nascosti del nostro inconscio. Al cospetto di un oggetto spaventoso, l’uomo ne fabbrica un doppione, in grado di esorcizzare-neutralizzare l’originale. Il terrore dell’unicum è redento dal gusto della riproduzione. In Matinée il cinema è questo doppio, dove Il mostro viene sterminato e tutto finisce bene, dove l’happy end non è mera rassicurazione, ma ipotesi liberatoria ed eversiva.

Saggio antropologico travestito da commedia nostalgica, il film è ambientato nel 1962 a Key Largo, in Florida. Ci troviamo subito catapultati in piena guerra fredda, durante la crisi dei missili di Cuba. Ma Dante non è interessato alla Storia in sé, piuttosto al controcampo umano, al panico dilagante, allo stato di allarme continuo che condiziona la vita cittadina. La minaccia atomica è l’incubo imminente di un istante, uno solo, che cancellerà ogni cosa, lasciando solo le terribili tracce delle ombre calde. La paura, del resto, è quel meccanismo naturale che ci proietta verso un futuro temuto, imminente, sempre a-venire. Solo il cinema potrà sconfiggerla.

Lawrence Woosley (un gigantesco John Goodman), regista di horror di serie b, ricorda un William Castle con fisico wellesiano, metodi cormaniani, ingenuità edwoodiana e pose hitchcockiane. Vorrebbe sbarcare in città per proiettare Mant, il suo nuovo, attesissimo lavoro in Atom-vision: scariche elettriche durante la visione, mostri che squarciano lo schermo e invadono la sala stessa.

Woosley comprende bene che il momento è propizio per presentare un film dell’orrore, eppure il suo b-movie ha effetti inevitabilmente catartici. Mant fornisce un doppio dell’orrore radioattivo, sublima la realtà in una narrazione finzionale, presentifica le nostre paure irridendole, permettendo agli spettatori di gioire della propria salvezza. Lo spavento cinematografico assume una funzione positiva, vicariale. La riproduzione della paura finisce per disattivare il tessuto orrorifico della nostra realtà, trasfigurandola, a tutti gli effetti, in quello che è solo un film dell’orrore. Il cinema arriva come una festa che inebria ogni singolo spettatore, lasciandogli addosso la sensazione – ormai perduta – di aver assistito a un autentico evento.

Quando il sistema Atom-vision viene affidato a mani inesperte, il film si fa oggetto pericoloso, in grado di far esplodere lo schermo e bruciare la sala. Una masnada di ragazzini scappa dal cinema e, finalmente, esce fuori alla luce del sole, tornando al mondo reale. Matinée appare come quel gioioso, felicissimo invito ad abbattere i bunker in cui la paranoia atomica ci ha rinchiusi e ricominciare finalmente a vivere.

Da cinefilo incallito, Dante orchestra il film come una giostra impazzita e coloratissima: i rimandi filmici si susseguono con precisione filologica, intelaiando un dialogo d’amore nei confronti delle immagini che fecero vibrare l’infanzia del regista.

Cos’è Matinée se non la confessione dei primi amori cinefili, la fede in un cinema che salva la vita, l’atto d’amore sconfinato nei confronti di quella grande illusione chiamata lieto fine? A rivederlo oggi il film di Dante presenta il fascino ingiallito del giocattolo vecchio, capace di riscaldarsi frame dopo frame, mentre rianima i feticci della fantascienza più amata, quella degli anni ’50. Ma va anche oltre: King Kong rivive in Mant mentre la fuga dal cinema riecheggia la celebre sequenza d’inseguimento de L’invasione degli ultracorpi. Quello di Dante è un film pullulante di emozioni, il puzzle di un bambino che vuol continuare a giocare, nonostante lo scorrere del tempo. Egli rifiuta il cinismo e l’aridità di qualsiasi tendenza postmoderna che sarebbe venuta nei decenni successivi, a favore di un’illuminata, profondissima, beata ingenuità.

L’intero film è costruito come un rifugio d’immagini, che nemmeno la Storia può scalfire: giovani ragazzi con gli occhi gonfi di spielberghiana speranza, storie d’amore immacolate e tenerissime, famiglie benevole, idioti che si fanno prendere dal panico, bozzetti umani in grado di incarnare, con un solo gesto, sogni e tendenze di un intero immaginario. Tutto condito, ovviamente, con quel senso di grande avventura per famiglie che Hollywood non riesce più a replicare.

Dopo il successo di Mant Lawrence Woosley abbandona Key Largo, lasciando il cinema nelle mani di quei ragazzini che tanto amavano i suoi film: saranno loro i registi del futuro. Joe Dante era già consapevole che il mondo stava per cambiare, che l’industria del cinema l’avrebbe ben presto dimenticato: firma quello che sembra un film tanto luminoso quanto crepuscolare, quasi il canto del cigno ideale del suo cinema. D’altronde, a oltre vent’anni dall’uscita in sala, Matinée rimane un film troppo intelligente per essere ricordato.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 18/11/2014

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