Dreaming Alaska

Sognando un sogno, continuare a sognarlo anche a distanza di anni. Dreaming Alaska parte dal principio, da un sogno, appunto, fatto quando si è ancora bambini, impresso in un filmino girato quando si aveva intorno ai dieci anni di età (età nella quale è vietato non farli), chiamato “Alaska” ma filmato a Felino (Parma) dopo un’abbondante nevicata. Anche perchè non serve il luogo fisico per la fantasia di un bambino, basta il nome, lontano e suggestivo, di “Alaska” ed una nevicata che ricordi le qualità immaginifiche del luogo sognato, il resto lo fa la fantasia.

Emanuele Valla e Dario D’Ambrosio, rispettivamente regista e sceneggiatore, sono cresciuti, ma il loro sogno, che avverano, è rimasto comunque dentro di loro intatto come quando erano bambini, liberandolo ora dalla morsa ipotetica del potuto ma non successo e concretizzandolo nel sognato e realizzato; girando quindi Dreaming Alaska in Val di Fassa sulle Dolomiti. Il loro iniziale e breve sogno che diventa lungometraggio. Continuiamo a rimanere lontani dall’Alaska vera e propria, il sogno aumenta di grandezza e continua ad avvicinarsi sempre più al luogo geografico sognato, ma continua anche a non raggiungerlo (speriamo che un giorno ci riescano veramente), se non attraverso due fattori necessari per compiere grandi cose: attraverso la fantasia e il temperamento frivolo e fanciullesco del duo, che per di più interpetano loro stessi, due giovani adulti rimasti bambini con un sogno in comune.

Alaska, è il sogno di due bambini di 11 e 13 anni, impresso in un cortometraggio che “narra” la storia di due geologi intenti a salvare il mondo alla ricerca di una misteriosa pietra. Questo è l’inserto e la base per sciogliere una trama tanto comica quanto grottesca che racconta la storia di questi due ragazzi ormai cresciuti, Alan, geologo, e Thomas, regista, che vogliono staccarsi dalle loro fallimentari esperienze lavorative e raggiungere il sogno impresso in quel filmino del 1995. I due, dopo essersi persi di vista per diversi anni, si incontrano in un albergo di montagna, uno, Alan, dopo essere fuggito da una cattedra di geologia troppo piccola per le proprie ambizioni avventurose (appese come un poster di Into the Wild nel suo studio), l’altro, Thomas, dopo che il suo talk show è stato chiuso e sostituito con un reality di bassa lega. Nel mezzo (e si parla di un lungo di 111 minuti pieni pieni) molti personaggi, situazioni comiche e surreali, ma soprattutto il desiderio di ritrovarsi nell’intensità e comunione del loro sogno. Riusciranno a ritrovare, tra ciò che vogliono recuperare di loro stessi, i loro vecchi sogni? A ritagliarsi uno spazio di infinito spirito fantastico ed avventuroso? L’Alaska com’è? Ecco, non ve lo dico, soprattutto per non farvi mancare il brivido della durata del loro lungo sogno.

Tra gag surreali ideate su un fin troppo demenziale senso dell’umorismo, il lungo si scioglie in una durata prolissa ma godibile anche grazie ad un taglio di montaggio preciso e ritmato; ad una fotografia che se troppo patinata, ben si lega ad una visione sognante, perciò siffatta e straniante, del sogno stesso. I due giovani adulti e le loro rispettive prospettive di spirito cine-avventuroso sembrano immersi in un procedere che mischia rimembranza, desiderio, comicità e senso della vita in un calderone paesaggistico in technicolor. Anche se, troppo spesso, si ha la sensazione di essere trascinati a dismisura dall’acquosa scrittura e dalla bonaria logica registica fondata sull’incapacità (per eccessivo affetto) di selezione naturale del girato.

Di particolare rilevanza è la capacità produttiva del duo, cui va dato merito di aver saputo creare attraverso il social web la base necessaria a realizzare il proprio film. Sia attraverso il crowdfunding, sistema di finanziamento democratico e indipendente che, se miscelato a dovere ad oculate distribuzioni indipendenti (c’è da immaginarsi quale alchemica unione farebbero Netflix e Microcinema) via web potrebbe soppiantare il sistema produttivo tradizionale; sia attraverso il lavoro sul reperimento del materiale musicale, avvenuto attraverso una piattaforma italiana di crowdfunding, Produzioni dal basso, che ha garantito introiti utili ad una ricercata selezione musicale, con gruppi emergenti disposti a lavorare ad un progetto no budget oppure al coinvolgimento di artisti, come il cantautore irlandese Owen Gerrard, che collabora con sue canzoni e un arrangiamento di Alaska & Me di John Denver.

Presupposti questi che avvicinano i sogni alla realtà, arrivando a togliersi anche delle belle soddisfazioni attraverso riconoscimenti in diversi festival soprattutto statunitensi. Con la speranza di non esaurire il sogno nel suo risolversi in reale ma continuare a sognare anche una volta desti.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 19/08/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria