Dylan Dog - Vittima degli eventi
Tra la svolta di Recchioni e le precedenti trasposizioni, il duo Di Biagio e Vecchi, ci regalano il migliore Dylan Dog italiano degli ultimi anni.
Dylan Dog cede al contemporaneo, diventando, tangibilmente, vittima degli eventi. In un momento storico tanto caldo quanto delicato per l’evoluzione del fumetto di Sclavi che, con la direzione artistica di Recchioni, virerà sulla strada del progressismo digitale, Dylan Dog – Vittima degli eventi, fanfilm distribuito dal 2 Novembre sul canale youtube The Jackal (ma già presentato al Festival di Roma), è un punto e virgola necessario di un percorso artistico quasi trentennale. Alla luce del ringiovanimento (di stampo non solo generazionale ma epocale/digitale) appena iniziato nel fumetto, gli eventi, quindi il Destino (di un fumetto, di un personaggio, di una storia), hanno sentito il bisogno (intellettualmente onesto) di evolvere. Il Dylan, presentato dal celebre duo artistico di youtuber, Claudio Di Biagio e Luca Vecchi (Freaks!, The Pills, Nonapritequestotubo) e prodotto attraverso la piattaforma di crowfunding IndieGoGo, arriva nel momento giusto riuscendo a sintetizzare qualitativamente i precedenti lavori di fanfilm usciti negli anni precedenti. Un personaggio sempre molto difficile da rappresentare, proprio di un fumetto mitico, intoccabile ma comunque pieno di chiaroscuri sinapsici attraverso i quali poterlo raccontare, rappresentare ed interpretare differentemente. Un fumetto aperto alla trasposizione ma allo stesso tempo chiuso nella sua perfezione cartacea. Una chimera da molti affrontata. A partire dal film di Soavi, Dellamorte Dellamore (1984), tratto dal romanzo omonimo di Sclavi che precedeva l’ideazione del Dylan Dog edito da Bonelli, passando per Il nido del ragno (Gianfranco Giagni – 1988), horror rispettabilissimo che basato sulla storia poi rappresentata nel doppio numero (110 Aracne – 111 La profezia), unico horror scritto da Tonico Cervi e che si avvale di un maestro come Stivaletti agli effetti speciali; infine solo nella seconda decade del nuovo millennio torna l’interesse nei confronti di Dylan, attraverso tre fanfilm sul personaggio. Due sono gli esperimenti di Roberto D’Antona, Dylan Dog – L’inizio (2011) e Dylan Dog – Il trillo del diavolo (2012), il primo troppo legato all’artigianato amatoriale per lasciare il segno, perdendo lì dove il secondo invece riesce, dimostrando una buona unità d’intenti cinematografici e di qualità tecnica, ed infine il prolisso e compassato Dylan Dog – La morte puttana (2012 – Denis Frison). In mezzo, il nostrano Indagatore dell’Incubo verrà violentato dalla cool culture americana nel film, Dylan Dog – Il film (Kevin Munroe - 2011), costretto nel corpo imbalsamato del già pessimo Brandon Routh (Superman Returns). Questo excursus storico è stato necessario per posizionare bene il film di Claudio Di Biagio in rapporto all’evoluzione attuale del fumetto. Osservato da una immensa luna onnisciente, Dylan vagherà nei vicoli di una Roma notturna e spettrale, inseguito dal proprio destino, avendo a che fare con la ridondanza dell’evento metempsicotico. Dylan sarà coinvolto in un viaggio allucinatorio sfocato di una realtà romana notturna e carica di leggende (la Porta Alchemica di Piazza Vittorio, le decapitazioni di Castel Sant’Angelo) aiutato dai suoi fedeli assistenti e da traumatizzate donne da conquistare. Ottime tutte le interpretazioni periferiche dei coprotagonisti, da Groucho (unica vera ed adiacente interpretazione finora realizzata, un’ottima interpretazione istintiva di Luca Vecchi), al prepensionato Ispettore Bloch, volto affidato sempre d’istinto ad Alessandro Haber, e Milena Vukotic, l’anziana e canuta medium Madame Trelkovsky. Purtroppo è Dylan, interpretato da Valerio Di Benedetto (già diretto da Ciro De Caro nel sorprendente Spaghetty Story) a non convincere molto, se convince la sua fisicità nella posa plastica propria del Dylan disegnato, scivola spesso sull’arteficio della recitazione controllata e fittizia. Esperimento comunque apprezzabile se lo si pone in rapporto alle altezze raggiunte solo dall’ottima interpretazione (desolante e malinconica) data da Rupert Everett nel film di Soavi. Il film gode di un’accuratissima messa in scena, un mondo dettagliato e fedele, illuminato da un’ottima fotografia (Matteo Bruno) carica di colori saturi, neri profondi e riflessi tenebrosi tra fiamme di luce. Anche la regia segue fedelmente le proporzioni della penna da disegno, ricreando, con fedeltà e passione, inquadrature plastiche proprie dell’iconografia della vignetta, quasi un lavoro di ready-made dell’immagine trasposta fedelmente tra due forme diverse, ampiamente complementari, interconnesse tra di loro nel passaggio tra fumetto filmato (nel tempo) e filmato fumettizzato (nell’icona grafica). Film dalla durata naturale (e questo vale punto a favore) di cinquanta minuti, che sottolinea sia l’efficacia del nuovo mezzo distributivo, sia l’alto livello tecnico raggiunto dalla nostra cinematografia dal basso, un apparato di professionisti del settore in grado di elevare la qualità del prodotto in tutte le sue componenti tecniche (mi sembra giusto citare anche gli ottimi effetti visivi realizzati da Luca Della Grotta, un punto di riferimento per tutti i giovani talenti della scuola, tutta italiana, di artisti vfx). Tutto tiene e noi siamo contenti, soprattutto per averci ridato un Dylan Dog vero, credibile, italiano e di ottima fattura. Un punto e virgola nella storia di Dylan Dog, la chiusa ideale su un personaggio già in evoluzione, una sintesi perfetta e fedele del lavoro finora da tutti fatto, compiuto su un personaggio oramai in una naturale trascesi epocale, pausa breve rivolta in direzione di un nuovo e fulgido futuro.