In Dubious Battle - Il coraggio degli ultimi
La battaglia vinta da James Franco, nel suo film più bello, emozionante e politico
Dopo Cormac McCarthy (Child of God, 2013) e William Faulkner (As I Lay Dying, 2013, e The Sound and the Fury, 2014), James Franco torna dietro la macchina da presa per adattare sullo schermo un’altra opera letteraria americana. Presentato nella nuova sezione Cinema nel giardino, In Dubious Battle - Il coraggio degli ultimi è tratto dall’omonimo romanzo del 1936 di John Steinbeck (tradotto nel 1940 in italiano da Eugenio Montale, per Bompiani, con il titolo La battaglia), considerato un prequel ideale del suo capolavoro The Grapes of Wrath (Furore, 1939), romanzo simbolo della grande depressione americana degli anni trenta.
Anche qui, siamo nel pieno della recessione successiva alla crisi del 1929, in una California devastata da un netto peggioramento delle condizioni economico-sociali e dalla disoccupazione imperante. Riprendendo filologicamente i temi trattati da Steinbeck, il film tratta l’organizzazione di un lungo sciopero ad opera dei lavoratori e delle lavoratrici dei frutteti di un grande proprietario terriero (interpretato da Robert Duvall), reo di aver diminuito loro il salario giornaliero a un solo dollaro al giorno (dai precedenti tre). Nella reiterata battaglia per il riconoscimento dei propri diritti sociali negati dal padrone, i braccianti saranno aizzati dall’intervento di due sindacalisti rivoluzionari (il giovane Jim, interpretato da Nat Wolff, e il più esperto Mac, dallo stesso Franco), militanti del Partita comunista americano, che si introducono in incognito tra i lavoratori, dando vita a scioperi, rivolte e barricate.
È l’infiltrazione all’interno della comunità dei due sindacalisti come corpi estranei a generare le prime scintille tra i braccianti, già insoddisfatti per l’arbitraria diminuzione del salario giornaliero. L’obiettivo è quello di introdurre una coscienza di classe in una comunità smarrita e alla ricerca di una coscienza di sé e della propria condizione di sottoproletari sfruttati. La rivolta è già presente negli occhi dei lavoratori dalla prima scena, così come nelle loro anime ferite, nei corpi umiliati e usurati dal lavoro nei campi. Bisogna soltanto tirarla fuori con una scintilla e incanalarla in azione politica. È il ruolo pensato da Antonio Gramsci per l’intellettuale organico, che mette al servizio della lotta di classe e del proletariato la sua conoscenza teorica e la propria capacità organizzativa per ribaltare la situazione di sfruttamento umano e politico. Secondo tale prassi rivoluzionaria, dunque, non è soltanto lecito, ma obbligatorio che un intellettuale si organizzi in operazioni di proselitismo e di istigamento di focolai di rivolta già in nuce nei lavoratori.
James Franco, aderendo filologicamente al testo di Steinbeck grazie all’ottima sceneggiatura di Matt Rager, ma soprattutto decidendo di interpretare il ruolo di uno dei due sindacalisti, dimostra di assumere come personale tale visione rivoluzionaria della società, lasciando però nello spettatore qualche remora sulla legittimità, appunto, di questa “dubbia battaglia”. L’operazione filologica viene, tuttavia, ribaltata dalla volontà di Franco di assolutizzare la vicenda appena raccontata lasciando un finale volutamente sospeso, quasi a spingere lo spettatore verso una universalizzazione del conflitto nel presente, che possa assumere cioè una dimensione non più esclusivamente politica. Lo stesso sacrificio, quasi cristologico, compiuto consciamente dal suo stesso personaggio sembra assumere una funzione messianica sulla comunità, orientandone le scelte. È proprio grazie a quello, di riflesso, che i lavoratori si compatteranno e organizzeranno le barricate contro i padroni.
Il tributo ai temi e alle forme del cinema politico di Ken Loach è piuttosto eloquente, e fornisce a James Franco ulteriori strumenti per fare i conti con un canone narrativo – cinematografico e letterario – che non lascia più spazio alle sperimentazioni formali delle esperienze precedenti, certamente riuscite e suggestive ma meno consapevoli di questa inevitabile battaglia con le emozioni ed il rigore formale che, prima o poi, avrebbe dovuto combattere.