Motherless Brooklyn - I segreti di una città
Il secondo progetto da regista di Edward Norton è un film schizofrenico che si affida alla musicalità delle parole ma si limita a un lavoro di pulizia maniacale che ne annienta ogni volontà sovversiva.
«È come se avessi un lato totalmente anarchico nel mio cervello che vuole gettare tutto nel caos ma, allo stesso tempo, tenere qualsiasi cosa sotto stretto controllo».
L'affermazione di Lionel Essrog è in grado di sintetizzare il personaggio tipo interpretato da Edward Norton durante la sua carriera e anche il suo approccio al genere in occasione delle due regie curate, Tentazioni d'amore e, appunto, Motherless Brooklyn - I segreti di una città, progetto della vita che l'attore ha coltivato durante gli ultimi 19 anni e tratto dall'omonimo romanzo di Jonathan Lethem. Il personaggio di Lionel dice di avere il vetro dentro il cervello, è un detective privato affetto dalla sindrome di Tourette e si ritrova a indagare sull'omicidio del suo amico e mentore Frank Minna (Bruce Willis). Con pochi indizi alla mano, Essrog si trova coinvolto in un oscuro gorgo di corruzione e violenza, speculazioni edilizie e faide familiari.
Il secondo film diretto da Norton è un coagulo schizofrenico di note dissonanti. La scelta spiazzante consiste nell'enorme lavoro portato avanti dall'attore, regista e sceneggiatore nei confronti del materiale di partenza, la cui narrazione viene traslata alla New York degli anni '50. La memoria della Seconda Guerra Mondiale è ancora gravosa sulle spalle, lo spettro della Grande Crisi aleggia sulla città e le alte sfere del potere vorrebbero ricostruire il tessuto metropolitano per trasformare la Grande Mela in una città diversa e moderna. Tra i bassifondi di Brooklyn e i jazz-club di Harlem, si consumano le indagini di un detective che filtra gli eventi attraverso il suo punto di vista e li restituisce mediante la sua voce narrante. Motherless Brooklyn rappresenta la trasformazione e la sublimazione in film del personaggio Edward Norton ma rispecchia anche la metamorfosi a cui è sottoposta la città di New York. Il tessuto epidermico, infatti, è curato allo stremo e, probabilmente, raffredda a sproposito le spinte melodrammatiche e le pulsioni sanguigne che, sottocute, caratterizzano il genere del noir. Le scelte fotografiche certosine privano di bollore la materia scelta e danno vita ad una deriva estetizzante che pone una barriera tra spettatore ed immagini - in modo contrario alle scelte classiche dell'ultima regia di Ben Affleck che, proprio nelle immagini vulcaniche del cinema di genere e nel suo sguardo fuori campo intravedeva l'ultima possibilità edenica di redenzione.
Piuttosto che dar vita ad una costruzione audiovisiva compatta ed essenziale, Norton si abbandona a un approccio ricco di digressioni labirintiche, come fosse nel mezzo di una jam-session alla quale si affida per detonare dall'interno la classicità del genere. I suoi scatti improvvisi, i tic nervosi e i continui «If» si trasformano in partitura musicale e scandiscono il ritmo del racconto più di quanto non faccia il montaggio relativamente alle immagini. Lontana da ogni volontà programmatica, la musicalità estrema di Motherless Brooklyn passa attraverso la sua fluvialità letteraria. Le associazioni verbali di Lionel seguono l'andirivieni delle onde del suo cervello e (s)formano un film che vive di pause e intermezzi.
Non dubitiamo che Norton abbia amato allo stremo il progetto intrapreso, fino a restarne intrappolato e a trasformarlo in un ibrido dissennato e ricco di sottotesti che tendono alla dispersione. Probabilmente, il maggiore difetto del film consiste proprio in questo lavoro superficiale, che finisce per spegnere gli intrighi e la gigantesca matassa da dipanare attraverso un nervosismo caleidoscopico e le improvvisazioni patologiche. Anche i germi capaci di far esplodere ogni contraddizione si rivelano più ammansiti di quanto ci si sarebbe aspettato, sancendo i limiti di un'anarchia tenuta troppo spesso sotto stretto controllo.