Elle

Paul Verhoeven e Isabelle Hupper: tra i dolci supplizi della lussuria

Il secondo sesso di Paul Verhoeven incarnato in Elle ha le fattezze biologiche ed interpretative di una strepitosa, quanto affascinante, Isabelle Hupper. Il regista olandese, abile autore europeo capace di realizzare opere di crossover culturale, partendo dalla sua Olanda ed arrivando a lavorare nella cinematografia hollywoodiana - e portando con sé la sua autorialità nordeuropea senza mai cedere nulla alla dimensione narcisistica e commerciale del cinema della costa Ovest - realizza un film che nutrendosi della lussuria costruisce una sfilata di personaggi che ruotano intorno a lei. "Non ci si vergogna abbastanza, niente ci ostacola nel fare quello che vogliamo". Una dichiarazione che dilata i confini della spudoratezza, che elimina i tabù, che apre le porte al desiderio, che definisce la libertà dell’anima torturata.

Michelle (Isabelle Hupper), proprietaria di una casa di produzione di videogame, viene violentata in casa sua. Non volendo denunciare l’accaduto alle autorità competenti, la cinica e tagliente Michelle, inizierà un gioco pericoloso con il suo persecutore capace di svelare ogni singola perversione propria di ogni componente della sua famiglia.

Verhoeven, da sempre abile a giocare con il genere, riesce a svelare la carica sessuale di ciascun personaggio indagando su delle identità maschili, solo apparentemente normali, e sollevandone il tessuto che separa la loro sessualità dalla loro immagine sociale. Intorno a Michelle si racconta un universo di personaggi che appartengono tutti a diverse classificazioni, umane e sessuali, ognuna con il suo specifico rapporto con la sessualità. Il violento, il succube, il geloso, il remissivo, il perdente, l’impotente, il perverso, il voyeur. Queste sono solo alcune desinenze dei personaggi che circondano Michelle. Il rapporto che essi stessi hanno con il sesso si traduce con il rapporto che soggiace al di sotto della loro natura sociale, con il rapporto che ognuno di loro instaura, intimamente, con il prossimo. Tra il pubblico ed il privato, Michelle è la burattinaia che detiene i fili delle loro anime. E’ lei a volere e sarà lei a non volere più. A scegliere di vivere fuori dalla menzogna che sta alla base del sesso, e del rapporto tra uomo e donna. La filmografia di Verhoeven, dopo la Stone di Basic Istinct e la Soutendijk di Il quarto uomo, si definisce nelle algide ed eleganti forme della Hupper, già musa di Chabrol e del miglior cinema autoriale europeo moderno e contemporaneo. Il percorso che lega queste tre figure femminili è simile, i loro personaggi si sovrappongono, ognuna è portatrice di una consapevolezza della forza della propria sessualità e della libertà a discapito della istintuale parte maschile della società, schiava della loro perfezione sessuale. Tre figure che racchiudono in loro una trinità pagana e carnale, anti-mariana, ognuna è sia madre, che severa maestra, che puttana. Non a caso Michelle arriverà ad autoscomunicarsi durante la cena natalizia di fronte alla messa solenne trasmessa in televisione da Piazza San Pietro. Entrambe dominatrici anche se succubi, padrone del mondo (e del sesso maschile) in quanto donne consapevoli di essere donne. Ed è qui che il discorso del regista olandese si intellettualizza finemente attraverso il recupero – in tralice – dell’opera di Simone de Beauvoir, Le Deuxième Sexe.

Un film sul desiderio che travolge gli istinti, sulle anime suppliziate dall’erotismo incofessato, sulla necessità della menzogna, che più che essere un’arma propriamente femminile risulta appartenere al bisogno che ha il maschio della propria autoconsapevolezza di genere; una necessità maschile per non sentirsi un essere castrato ed inferiore rispetto alla libertà, e all’accettazione (vedesi il finale del film), del mondo femminile. Elle è un’opera sorprendente, o meglio rassicurante, che continua a rendere grazia e giustizia ad un autore di cui - purtroppo molto spesso - se ne dimentica la grandezza.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 01/11/2016

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