Dossier Paul Verhoeven / 14 - Tricked (Steekspel)
Il cine-esperimento di Paul Verhoeven dialoga con gli spunti degli utenti/creatori ma trova comunque una strada fedele ai temi più cari al suo autore.
Tricked (Steekspel), la giostra. Equivoci, ambiguità e fraintendimenti, imprevisti e incomprensioni rimbalzano da un personaggio nel cine-esperimento di Paul Verhoeven. Dal palco del Festival del Cinema di Roma (dove il film è stato presentato Fuori Concorso nella sezione CinemaXXI), Verhoeven lancia un prodotto particolarmente straniante che ruota letteralmente come una trottola in ogni sua fase, dalla creazione alla presentazione in anteprima mondiale davanti ad un pubblico di trepidanti fan.
Remco è un ricco manager, con la passione per gli affari e l’infedeltà che si trova a combattere contro una serie di situazioni ai limiti del paradosso. Complici di questo gioco di scambi e perversioni ci sono tre donne, ognuna con un proprio bagaglio di risentimenti e piccole vendette da scatenare contro quell’uomo tanto vorace del gentil sesso.
C’è la moglie di Remco Ineke che, pur nell’accettazione delle sue scappatelle, non rientra nel ruolo dell’algida moglie remissiva, comprensiva e totalmente dipendente dal marito. La sua perseveranza nello spolverare accuratamente i cumoli di laniccio agli angoli del proprio matrimonio la rende una donna fredda e decisa, pronta a tutto per l’uomo che dice essere della sua vita, fino ad impugnare un paio di forbici in preda allo spirito di un vago residuo di Norman Bates. C’è poi Nadia, doppia ex nel pubblico e nel privato, tornata dal Giappone giusto in tempo per presentare la propria parcella. Infine, c’è Merel, migliore amica di Leike, figlia di Remco e attuale fiamma di quest’ultimo, che finisce per cedere anche all’altro figlio dell’uomo Tobias, in attesa del proprio momento di gloria tra le grazie della giovane. A queste premesse si aggiungono anche gli sporchi tentativi di truffa e raggiro di Wim, il socio in affari di Remco, un arrivista frustrato che vuole rilevare l’intera azienda con una indelicata manovra di ricatto.
Il regista olandese mescola una buona dose di spunti che viaggiano sulla sottile linea tracciata dalla tensione tra sessualità e violenza, una commistione che attraversa da sempre il cinema di Verhoeven.
Girato prevalentemente in interni, Tricked è un progetto sperimentale volto a raccogliere i suggerimenti degli utenti del web. Verhoeven e la sua troupe hanno deciso di vendere un concept di 4 minuti scarsi, affidando al pubblico il compito di svilupparne l’assunto principale. Il risultato è stato un blocco di 50 sceneggiature vagliate tra 700. Quel pizzico di essenza di ogni script è andato ad aggregarsi in una pila ordinata di tasselli che ha contribuito a formare il mosaico finale, un divertente bandolo che riesce a conquistare nonostante l’effetto caotico che suscita. Gli attori vengono trattati alla stregua di vittime, lasciati all’improvvisazione di un canovaccio che si va svelando progressivamente, soffocati da pressioni costanti. Le pareti degli interni stringono insieme al fuoco della camera su dettagli e dialoghi, accentuando un senso claustrofobico motivato da una luce diffusa da format televisivo che si unisce a movimenti rapidi e incerti, come se alla traccia narrativa corrispondesse di volta in volta la sorpresa di una scelta che imponga una chiarezza forzata su situazioni particolarmente intricate, spingendo sull’amoralità fino al parossismo.
Dopo il brillante Black Book, audace quanto scomodo nel profilare una pagina scura del passato bellico olandese, Verhoeven si concede un ulteriore esperimento con questa commedia a tratti esilarante e imprevista, che incede sui volti assecondando la sinuosità dei corpi. Un lavoro che ha rappresentato una sfida, quella di tradurre in immagini la necessità di inseguire il proprio desiderio, capace di trasportare ognuno in qualcosa a metà strada tra l’eccitazione e un profondo senso di inquietudine. In accordo con quella spinta frenetica che distingue il suo cinema, Verhoeven, soddisfatto di un lavoro in cui ha potuto finalmente tendere l’orecchio alla musica dura dei Rammstein, percorre un flusso di scrittura che dall’interno si infonde in corpi estranei ed eterogenei, cercando nell’ignoto un ultimo anelito di creatività.