The Equalizer - Il vendicatore
Torna ancora una volta il sodalizio Washington-Fuqua ma la distanza che separa The Equalizer a Training Day è abissale.
Tornano Antoine Fuqua e Denzel Washington. Tredici anni dopo, la coppia è la stessa ma cambia decisamente il prodotto. Da Los Angeles a Boston, dalla Hollywood Hills a Charlestown, cambia tutto...non proprio in positivo. E’ vero, realizzare un altro film con la stessa potenza di Training Day non era facile, però ci si poteva quantomeno provare. Ovviamente non ci si trova davanti allo stesso Denzel Washington, con tredici anni in più sul groppone e con un ruolo fisiologicamente ed inevitabilmente ponderato. Tuttavia, è lui e solo LUI a tenere in piedi la pellicola. Le sue movenze, il suo gesticolare e il muovere le labbra compensano la mancanza assoluta di una sceneggiatura ed un copione che sembrano scritti per il più becero film alla Dolph Lundgren.
La trama è trita e ritrita. In fondo, quante volte ci si è trovati di fronte all’eroe segreto, vedovo, che decide di tornare per salvare delle vite a lui care? Robert McCall è un ex agente della CIA (nemmeno a dirlo), finto morto anni prima, ora impiegato in un supermarket dell’edilizia. Fino qui tutto a posto e niente in ordine. Se non fosse che il seguito del lungometraggio è, sostanzialmente, un mix di piacevoli musiche ed effetti speciali con tante scene che di sostanza hanno veramente poco. C’è una spasmodica ricerca al dettaglio nelle prime inquadrature da parte di Fuqua, così come un utilizzo ripetuto dei ralenty funzionali a ciò che il regista vuole rappresentare: elevare McCall a semi Dio della tattica militare e del bricolage delle armi, una sorta di violento MacGyver del nuovo millennio. Oltretutto, a prima vista, alcuni momenti d’azione sembrano copiati dagli Sherlock Holmes o da The Snatch del bravo Guy Ritchie.
Un’altra nota dolente ha come soggetto il pessimo gusto con cui si sono rappresentati i ’cattivi’: la solita tiritera del dualismo Stati Uniti – Russia raggiunge dei livelli estetici francamente inconcepibili. All’epoca dell’Unione Sovietica i comunisti venivano accomunati al diavolo, ora i russi vengono dipinti come seguaci di Satana. Dipinti non solo metaforicamente. Perché The Equalizer è anche la sagra del tatuaggio, dove i primissimi piani sui disegni sulla pelle risultano essere di un irritante pazzesco. Come se tutti i russi fossero ricoperti di tatuaggi su tutto il corpo e che questo fattore li rendesse automaticamente cattivi. Fuqua era già incappato in errori simili in Olympus has fallen, quella volta con i nord coreani, e ora ci è ricaduto di nuovo.
Se non si conoscesse Fuqua e se non si sapesse che il film è una sua opera, probabilmente, se ne parlerebbe meglio. E’ il solito ritornello che tormenta il regista, un lavoro che ha svolto sempre più che bene ma che purtroppo, adesso, è in una fase discendente.
Il bello è che un film di genere, pur con tante note negative, ed avrà un buon mercato e dei discreti incassi. Questo perché il cinema, così come lo ha inteso Fuqua questa volta, è anche solo puro intrattenimento visivo, svuotato dalla potenza delle parole e dalla morale intrinseca dei personaggi. E non si può fargliene un torto, anzi. E’ una scelta, condivisibile o meno, ma che porta a casa comunque il risultato economico. Poi, se lo si analizza da un punto di vista prettamente estetico (eccezion fatta per i tatuaggi di cui sopra, quelli insalvabili), allora The Equalizer è un film da vedere, magari in allegra compagnia, parlarne 10 minuti alla fine della proiezione, per poi dimenticarsene del tutto fino al passaggio sulle reti private in prima serata qualche anno dopo e riguardarlo come se non lo si avesse mai visto.