Severo narro. Penso quando sento.
Rumoroso il fiume passa, ma il rumore non passa.
Poichè è nostro, non del fiume.
Così volle il verso: di altri e mio.
E da me stesso letto.
Fernando Pessoa
Noi viviamo il mondo. Altre personalità, alti esponenti che tirano i fili del nostro vivere, scelgono che mondo farci vivere. La scelta di pochi, per il mondo di tutti. Arriverà il momento in cui i personaggi che stanno dietro questi attori, interpreti potenti sul palcoscenico del mondo, riusciranno a togliersi le loro maschere e i loro costumi, non credendo più nella parte stessa che stanno interpretando? Domanda profetica, risposta oracolare. Speriamo di sì: lanciamo una pietra sperando che non affondi nell’acqua. Idealismo demagogico, forse, ma la speranza è come la fantasia, non costa niente. La pietra da lanciare è un disaccordo, un no violento, una carezza anarchica. La pietra lanciata è anche Ethos, documentario breve di Fabrizio Ferraro, prensentato alla scorsa edizione del Torino Film Festival e quarta opera del regista e poeta romano.
Audiovisivo puro, dedicato alla commissione anti-Tav, un pugno concettuale, una disamina poetica e immaginifica del nostro “posto da vivere”. Seguenze e campi lunghi statici, di fori romani, di montagne usurpate. Passaggi lenti di immagine belle, che possiedono il privilegio della semplicità. Alternate a foto statiche, raccolte di disaccordi, passanti, tra un’assemblea dei ministri internazionali dell’economia fino ad arrivare all’immagine di un gesto di ribellione, ad un “no” che diventa fuoco, protesta esplosa. Nel mezzo la soavità della musica di Vivaldi ed un testo poetico, che àncora le immagini al significato comune e sincrono; e poi una candela, luce poetica, chiaroscuro febbrile della solitudine di “uno” fra le decisioni di tutti. La fiamma che accompagna il pensiero del poeta diventa, nel suo lungo monologo, fiaccola del pensiero, motivo primordiale e semplice di una protesta solitaria. Il seme della discordia personale che si tramuta, con impeto, in esplosione di rivolta collettiva. Un inizio, personale e silenzioso, di una fiaccolata di NO, che lega il volere della terra al volere degli uomini, in una cosmogonia fragile quanto la luminosità, cagionevole e debole, della candela stessa. Non soffiamo sulla nostra candela, avviciniamoci delicatamente e alla sua luce pensiamo e indignamoci, questo il messaggio che sembra trasparire dall’opera del regista.
I lavori per la costruzione della galleria in Val di Susa sono usurpazioni della natura, riprese in immagini statiche, in panoramiche lente di distruzione, che mantengono la bellezza del graffio umano sulla roccia, a ricordarci che anche sotto il livello di ciò che annientiamo la natura ci regala colori e forme meravigliose, impressionabili in immagini e comunicabili attraverso il silenzio della valle oppure attraverso le parole del poeta che accompagnano le immagini. Opera sperimentale ed avanguardistica, lenta è vero, ma che risuona della propria lentezza proprio attraverso un’orchestrazione di vuoti significanti. D’altronde anche il silenzio ha una durata e, se quest’ultima fosse troppo breve oppure troppo forte, non avremo il piacere nel godercelo.
Ferraro è artista e poeta avanguardista, come da tanto il nostro cinema sperava di ritrovare. Perché il cinema è anche questo, sensazionalismo cinematografico oppure “cinema sensazione”. Il cinema è tutto, fortunatamente sia l’uno sia l’altro. E Ferraro tende verso la chimera del cinema totale, intesa come la totalità delle arti racchiusa nel cinema, sostenuta anche dallo scrittore fantascientifico Renè Barjavel; un cinema non teso a “riprodurre fedelmente i baffi di papà ma su una sintesi di tutte le arti magnificate“. Rimarcandone il contrappunto musicale che in questa sintesi totalizzante diventerà contrappunto audiovisivo dove suoni, immagini, dialoghi, silenzi, musica, senso e significato si uniranno in una sola opera ed in una sola fruizione. ” Forse, il cinema non ancora è stato inventato“, puntualizzava Bazin; allora rifacciamoci alla fantascienza, dato che molto spesso il futuro non è poi cosi lontano, soprattutto con l’epoca del cinema digitale. Ethos, lontano dal filone egemone del cinema narrativo di finzione, si specchia dall’altro lato del cinema, quello più oscuro e screditato da Hollywood, quello abbandonato agli albori del cinema stesso, quello teso alla fruizione di un’esperienza cinematografica, con un significato profondo. Un cinema che ci scordiamo presto, che non capiamo immediatamente, e che però ci perseguita, per un paio di giorni almeno, non dimenticandolo facilmente.