The Final Master

Il più promettente regista cinese di arti marziali porta avanti la sua personale rilettura del wuxia.

Regista, sceneggiatore e scrittore, Xu Haofeng ha lavorato per anni a ridefinire il genere del cinema di arti marziali. The Final Master è il terzo adattamento da un libro di racconti scritto dallo stesso Xu e propone un’idea di wuxia alternativa e stimolante. Il risultato è un’opera affascinante, se non del tutto risolta.

Maestro Chen (Liao Fan), un virtuoso delle arti marziali e ultimo rappresentante dello stile meridionale del Wing Chun, si trasferisce a Tianjin, la città delle arti marziali del Nord. Disposto a tutto pur di ottenere il permesso di aprire una propria scuola per arricchirsi e riscattare la propria casa di famiglia, Chen è costretto ad addestrare un discepolo che dovrà sconfiggere le scuole rivali. Suo malgrado, Chen viene coinvolto in un intrigo di potere che mette in pericolo la sua famiglia e il suo stesso discepolo.

The Final Master chiude una trilogia ideale che include L’identità della spada e Il giudice arciere, un percorso che mette in discussione le radici stesse del wuxia e del cinema di arti marziali alla ricerca di estetiche e narrazioni storiche più complesse e distanti dalla dimensione mitica. Per quanto riguarda le estetiche, è sufficiente notare come Xu metta in scena le sequenze di combattimento: come per i due film precedenti, siamo molto lontani dalle danze sull’acqua e dall’approccio astratto di Zhang Yimou, Ang Lee e Wong Kar-Wai (autore con cui Xu ha collaborato per la realizzazione di The Grandmaster). Il punto di partenza, qui, è una filologia marziale piuttosto rigorosa e una coreografia in stile hongkongese la cui grammatica si esprime in virtuosismi di montaggio e violenta fisicità tra i corpi, e tra questi e la macchina da presa. The Final Master si concentra su quest’ultimo aspetto, sacrificando parte della credibilità delle arti marziali rispetto ai primi due capitoli della trilogia: le sequenze di combattimento sono molto coinvolgenti e spettacolari, tra le migliori del cinema recente.

Nonostante la cura dedicata all’aspetto marziale, Xu Haofeng è interessato soprattutto a raccontare delle storie. In particolare, tutti e tre i film cercano di catturare fasi critiche di trasformazione e contaminazione tra la teorica "purezza" delle arti marziali e il sopraggiungere della modernità e del cambiamento storico. Nel caso de L’identità della spada, ad esempio, la guerra e la necessità di adattare le tecniche di combattimento a un nuovo nemico ne determinano l’evoluzione. Evolversi significa anche perdere qualcosa, abbandonare vecchi stili e stabilire nuove priorità. The FInal Master affronta una fase di trasformazione e perdita molto più radicale: siamo nella Cina degli anni Trenta e il mondo delle arti marziali sta per confondersi con quello della macchina militare, mentre maestri legati al passato sono costretti ad affrontare un’epoca a cui non sono preparati.

Non si tratta, per Xu, di difendere una purezza primigenia: le arti marziali cinesi, per millenni, sono state forme d’arte per pochi e per ricchi, poco inclusive e molto vicine agli ambienti del potere politico. Riflettere sui momenti di crisi di questo sistema chiuso e imperfetto significa riflettere sul senso delle arti marziali stesse, ieri e soprattutto oggi, al di fuori di ogni idealismo e mitologia. A un livello più astratto, mettere in discussione questa purezza vuol dire affrontare criticamente una tradizione cinematografica, quella che va da Zhang Che e King Hu fino ad oggi, fatta di eroismi impossibili e leggende che il mondo contemporaneo non può più accettare senza una notevole dose di scetticismo.

Gli obiettivi ambiziosi di Xu Haofeng sono raggiunti solo parzialmente. Tutti e tre i film, pur eccellendo sotto alcuni aspetti, mostrano alcuni problemi di sceneggiatura che compromettono il risultato finale.

Nel caso di The Final Master, l’eccessivo spazio dedicato agli intrighi politici fa perdere di vista i personaggi e le loro storie. Liao Fan (già protagonista di Fuochi d’artificio in pieno giorno) è un attore straordinario e la sua interpretazione dell’ambiguo maestro Chen è molto solida, ma gli altri personaggi (gli antagonisti, in particolare) funzionano molto meno, nonostante la complessità delle loro motivazioni e ambizioni. L’intreccio è piuttosto caotico e porta in secondo piano l’azione e il combattimento, il cui ruolo si fa marginale fino alle battute finali. C’è un problema nella mediazione tra l’autore e il genere che vuole rinnovare, problema che probabilmente risale al medium letterario da cui The Final Master è stato adattato. Il risultato finale è comunque buono, e probabilmente migliore che nei primi due film (molti appassionati saranno felici di sapere che la comicità surreale, che non è certo il talento principale di Xu, è più contenuta rispetto a L’identità della spada), ma il film resta inferiore della somma delle sue parti. In ogni caso, è probabile che, con uno sceneggiatore più esperto al suo fianco, Xu potrebbe trovare la sua piena maturità artistica e diventare il più importante autore del nuovo cinema di arti marziali cinese.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 01/05/2016

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