Fortezza Bastiani

“Qual è l’essenza dell’inutilità dello studente?

Il suo essere fuori posto, fuori sede: non produce.

Ma produce pensiero”!

Gutry, Pedro, Penna, Rubin, Queen e Mary si dividono la casa e la vita. I sogni e le speranze. L’affitto in nero, l’alcool e le canne. Le feste e gli amici nella Bologna degli anni zero di questo nuovo secolo. Sono tutti ragazzi universitari. Chi mantenuto, chi – abbondantemente – fuori corso, chi fuori sede, chi laureato ma pasticcere per esigenza, chi in assoluto fuori tempo massimo. Quasi arrivati alla fine del percorso e pronti a tuffarsi – ammesso che ci sia ancora acqua – nel mondo del lavoro. Fortezza Bastiani: così hanno rinominato la loro temporanea dimora di studenti fuori sede. Metafora dell’attesa. E, come nella Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, anche loro aspettano vanamente come fece il tenente Drogo. Aspettano, o più semplicemente rifuggono, a un domani e a un futuro sempre più lontano e irraggiungibile. Questa la tesi di Michele Mellara e Alessandro Rossi, che hanno confezionato questo loro godibile primo lungometraggio, uscito in sala nel 2002, impressionando su pellicola la loro sceneggiatura vincitrice del premio Solinas, edizione 1999. Affidandosi a una piccola casa di produzione romana (la Nauta Film) i due autori e registi hanno potuto contare su un basso budget, riscontrabile nelle location e nella fotografia del film – quest’ultima a tratti assente – e su un cast attoriale giovanissimo e non tutto professionista.

Ma non è questo, o meglio non solo, il limite del film, che almeno sulla carta pareva essere esplosivo. Va bene l’eterna condizione di reietto, dice il film, in cui la società relega lo studente; va bene la denuncia della precaria esistenza dell’università italiana (immaginiamo in confronto alle università mondiali, e in special modo statunitensi); va bene anche la feroce critica contro il servilismo e l’assenteismo della classe dirigente e dei professori universitari. Va pure bene la critica contro l’arroganza di chi si può permettere di essere prepotente, avendo un futuro spianato grazie alle amicizie di papà. Va bene tutto. Però? Però spiace sottolineare come il costrutto narrativo e lo sviluppo dei personaggi del film poggi su delle sue basi non inedite, presenti in film che hanno aperto il decennio da poco concluso: Santa Maradona (2001) e L’ultimo bacio (2000); il primo in salsa molto meno borghese e più incisivo del secondo, che già ci mostravano cosa volesse – cosa vuole – dire essere laureati, o anche semplicemente quasi trentenni, e apprestarsi a entrare nell’età adulta. Certo le ambientazioni non hanno molto in comune, avendo Mellara e Rossi portato le loro atmosfere nel film, cioè quelle di una Bologna molto festaiola, tutta “canne e feste” e avendo spostato l’attenzione sul mondo prettamente universitario. Ma il messaggio di fondo non è molto di diverso rispetto ai film sopracitati. Non si può non leggerlo e vederlo oggi però con occhi diversi – ma neanche troppo – rispetto a un decennio fa. Negli occhi e nelle teste di questi giovani produttori di pensiero universitario che, striscioni alla mano e rabbia in corpo, si sentono togliere la terra sotto i piedi, pian piano e con sempre meno clamore, e urlano quindi nelle piazze d’Italia la loro richiesta di ascolto. Da non confondersi, ci pare ovvio, con la cosiddetta riforma Gelmini, che poco c’entra con la migrazione culturale in atto, dall’università alla tv – come luoghi di formazione e informazione – ma ampliando il loro discorso alla mancanza di opportunità lavorative e la mancanza di sbocchi una volta usciti dai banchi d’ateneo. Ecco, questo potrebbe essere un utile motivo per recuperare Fortezza Bastiani e vederlo, se non lo si è ancora fatto.

Autore: Fabio Ernetti
Pubblicato il 16/08/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria