Frances Ha
Frances Ha è un duplice atto d’amore, per il suo personaggio e per quel certo cinema che più ne rispecchia l’estrosa sensibilità
Modern Love walks beside me
Modern Love walks on by
Da alcuni anni il cinema indie americano pare appiattito in un orizzonte arido e privo di sorprese, come ben manifesta la deriva formalista cui è andato incontro il Sundance, che da troppo tempo raccoglie attorno a sé film che paiono realizzati in serie. Il cosiddetto indie (che ormai è qualcosa di ben diverso da un effettivo cinema indipendente) corre oggi un estremo rischio di cristallizzazione, palesando sempre più la sua incapacità di uscire da determinati solchi narrativi e da reiterate scelte stilistiche ormai prive di qualunque vitalità. Ma come per tutte le tendenze che rischiano di farsi paradigmi, esiste la florida eccezione, esiste il film capace di sfruttare la propria piccolezza, l’intimità autoreferenziale, l’estrema familiarità della narrazione, per costruire un rapporto privilegiato con lo spettatore, presto conquistato da un piccolo universo denso di emozione. E’ questo il caso di Frances Ha di Noah Baumbach.
Scritto assieme alla compagna e attrice Greta Gerwig – già presente in Lo stravagante mondo di Greenberg e qui protagonista assoluta – Frances Ha segna il ritorno di Baumbach ad un cinema a scala ridotta, totalmente incentrato su un personaggio di cui è chiaramente, giustamente, innamorato. L’oggetto di questo amore è la ventisettenne Frances Halladay, colta in un momento di passaggio della sua vita. Frances cerca di fare la ballerina, cerca di mantenere un rapporto privilegiata con la migliore amica Sophie, cerca scuse per non convivere con il suo uomo, presto ex, cercherà un posto in cui stare, spostandosi in diverse abitazioni nel corso del film. Il percorso di Frances è scandito dalle tappe delle diverse case, evidenziate dal film con gli indirizzi scritti su pannelli come fossero inizi di capitoli: Chinatown, Sacramento, Parigi, Poughkeepsie e poi ancora New York, un percorso circolare che servirà a Frances per assumersi qualche responsabilità in più, accontentarsi di qualche aspettativa di meno, e vivere una vita adulta, serena e comunque soddisfacente.
L’amore, fisico o cinefilo che sia, si vive sulla pelle, negli occhi, è anzitutto una chimica sensoriale. Frances Ha è un duplice atto d’amore, per il suo personaggio e per quel certo cinema che più ne rispecchia l’estrosa sensibilità. Chiaramente la nouvelle vague. A partire dal ruvido spessore dei grani della fotografia, un bianco e nero tattile e ombroso, splendido, Baumbach semina il proprio film di dichiarazioni d’intenti, atti d’amore nei confronti di un certo cinema e del paese che lo ha prodotto. Ecco così che vediamo Frances danzare per la strada col sottofondo di Modern Love di David Bowie, come fosse l’eroina innamorata e malinconica di un film di Leos Carax, o ancora la seguiamo partire alla volta di Parigi, altra tappa della sua fuga. Tuttavia Frances Ha non si rinchiude nella nostalgia di un mondo perduto, il sentimento lo attraversa di certo però la narrazione riesce ad andare oltre, puntando a costruire in autonomia il ritratto del personaggio di cui porta il nome. E in lei risiede anche la ragione di riuscita del film, che oltre che per la ricercatezza formale colpisce ed emoziona per la leggera profondità del suo racconto, per la dolcezza di una protagonista vitale ma malinconica, energetica ma accidiosa, irresistibile nel frangente delle sue familiari contraddizioni.