Gregoria Giorgi è l’unica ragazzina di Casetta di Tiara, frazione di Palazzuolo sul Senio, sull’Appennino tosco-emiliano, che ancora resiste allo spopolamento cui è destinata con i suoi dieci, orgogliosi abitanti. Se Dino Campana avesse incontrato Gregoria forse l’avrebbe inserita, accanto alle ostesse faentine o alle opulenti matrone bolognesi, nel novero delle visioni femminee che popolano la sua poesia, ognuna regina e custode della propria città di cui incarna memorie ancestrali. Anche Casetta dunque ha la sua giovane sovrana. Ma la ragazza sta per concludere le scuole medie e tra dodici mesi dovrà abbandonare il paesino sperduto per iscriversi alle superiori. La regina di Casetta, ultimo documentario di Francesco Fei vincitore come miglior film italiano al 59esimo Festival dei Popoli, segue appunto l’ultimo anno di Gregoria nel borgo natio, muovendosi tra l’entusiasmo tipico dell’adolescenza verso una (nuova) vita che comincia e la nostalgia per un presente sempre più simile a un lontano passato.
La caccia al cinghiale, le nevicate, i giochi al fiume e i pettegolezzi delle serate estive con i «vecchini» del paese: la vita di Gregoria a Casetta trascorre scandita dai rituali di stagione di un mondo dove è ancora possibile trovare, come direbbe Campana, «La sanità delle prime cose». I versi del poeta di Marradi, - che nel 1916 proprio a Casetta consumò l’idillio amoroso con Sibilla Aleramo, tornando al borgo più volte da solo, - accompagnano qua e là il passare dei mesi, riscoprendo sotto la naturalezza di una vita semplice, un sentire diverso. Ma Fei non mitizza la vita di Casetta e quella della sua giovane abitante. Non trasfigura, come in Campana, la realtà comune attraverso il filtro dell’arte - soprattutto pittorica - e la visionarietà del poeta orfico. Al contrario, lo sguardo del regista si fa il più discreto possibile, lascia che siano le cose, la natura e le persone, il tempo e i suoi cicli a parlare di sé, osservando nel suo dipanarsi quotidiano la comune eccezionalità di una storia giunta a un momento cruciale del proprio percorso.
La regina di Casetta è infatti una riflessione sul tempo e sul cambiamento, che intreccia abilmente la vicenda del paesino toscano alla storia unica e al tempo stesso universale di Gregoria, costretta a confrontarsi con le paure ma anche le speranze - come il sogno di diventare chef di una nave da crociera - connaturate alla delicata transizione dall’infanzia all’adolescenza. Un film non a caso costellato di continui riti di passaggio, in cui aleggia la consapevolezza che, all’arrivo del prossimo autunno, per Gregoria - e un giorno non molto lontano anche per tutta Casetta - nulla sarà più come prima. Grazie alla delicatezza di Fei, al rispetto dimostrato nel non forzare mai eventi e situazioni, lo spettatore entra a far parte del mondo di Gregoria a poco a poco, partecipando ai suoi turbamenti e alle sue gioie, alla vita serena di un mondo quasi perduto che si dischiude in tutta la sua magica prosaicità.
La storia di Gregoria, grazie soprattutto al modo con cui La regina di Casetta sceglie di raccontarcela, ha la forza di parlare a tutti con l’immediatezza di un occhio sincero e attento alle piccole, importanti cose della vita. Una storia, infine, di luce e di ottimismo, un percorso di maturazione nella consapevolezza che ad una realtà che lentamente scompare - in quanto protesa all’immaterialità chimerica di campaniana memoria - succeda una vita capace di trovare la propria strada nel mondo, nel farsi coraggio per le sfide che l’aspettano.