Aperti al pubblico

di Silvia Bellotti

Girato nell'Istituto Autonomo per le Case Popolari di Napoli, il documentario di Silvia Bellotti vincitore del premio del pubblico al Festival dei Popoli

Aperti al pubblico di Silvia Bellotti

Ci sono situazioni ordinarie e quotidiane che, se osservate con la giusta sensibilità di sguardo e il dovuto distacco, rivelano all’improvviso tutto il loro portato di eccezionalità e la loro densità di significato: perché si fanno esempio e conferma di realtà e dinamiche che le trascendono o perché nelle loro molteplici stratificazioni rivelano i sedimenti di un vissuto che è culturale, sociale, storico. In alcuni casi, congiunture peculiari e tuttavia non insolite fanno irrompere senza difficoltà il surreale nel reale: come quando si scontrano le cavillosità e i paradossi della burocrazia con l’impazienza di chi, dall’altro lato, vive sulla propria pelle urgenze e difficoltà di ogni tipo.

È esattamente questo che accade quando l’Istituto Autonomo per le Case Popolari di Napoli, che gestisce circa quarantamila alloggi tra la città e la provincia, è aperto al pubblico. La regista Silvia Bellotti, con sguardo discreto ma attento ad ogni dettaglio, ci guida nelle stanze sature di scartoffie impolverate e osserva silenziosamente ciò che succede da un lato e dall’altro delle tante scrivanie. La presenza registica è invisibile, e tutti – impiegati annoiati o volenterosi, utenti confusi o esasperati - mantengono quella preziosa naturalezza che per forza di cose è il punto di forza di un’operazione cinematografica come questa. Che non è di accusa o denuncia, perché Aperti al pubblico vuole essere essenzialmente un cinema fenomenologico, la testimonianza di una complessa realtà in atto offerta allo spettatore nuda e cruda.

Quel che vediamo corrisponde in buona parte all’immaginario ampiamente diffuso che vede nella burocrazia un meccanismo farraginoso fino all’inverosimile, tanto da spalancare scenari – è il caso di dire – assolutamente kafkiani. Se a questo si somma la proverbiale teatralità dello spirito partenopeo – tassello fondamentale nell’economia del film – ecco che la quotidianità raccontata dalla Bellotti è già, autonomamente e imprescindibilmente, cinema.

C’è la signora di mezza età che ha perso il marito, per la quale – suo malgrado - la scrivania dell’impiegata che tratta il suo caso diventa quasi un confessionale: tra una pratica e l’altra si parla d’amore, morte, egoismo, genitorialità. C’è l’anziana che subisce un’ingiustizia ma tace più di quel che rivela, lasciando allo sconfortato operatore di turno il compito ingrato di ricomporre un complicatissimo puzzle. E ancora c’è la donna che per sua fortuna un posto dove abitare ce l’ha ma a causa di un cavillo burocratico “non risulta da nessuna parte”; quella che all’improvviso vuole pagare “tutto” perché il coniuge defunto “non pagava niente”; quella che supplica disperata di poter sapere “se ci sono i documenti” ma non ha la necessaria delega della cognata, perché quest’ultima “abita ad Afragola, mica dietro l’angolo”. Documenti che vanno e vengono, documenti per i quali serve un altro documento che si deve richiedere in un altro ufficio, in un altro giorno, in un altro orario: ma nel frattempo il tempo passa e chi ha la casa che cade a pezzi e i figli malati, come accade a una signora indiana sorprendentemente paziente, non può far altro che sperare e attendere. Del resto c’è addirittura chi “aspetta da trentasei anni”, ribadisce un’altra donna quasi con orgoglio.

Quello raccontato in Aperti al pubblico - vincitore del premio del pubblico al Festival dei Popoli - è un mondo disperatamente immobile dove, nonostante molta buona volontà e disponibilità, il tempo delle vite “degli altri” vale veramente poco. Ma è anche un mondo dove, malgrado le inevitabili tensioni e i numerosi battibecchi, si incontrano comprensione e  solidarietà, cosa che oggi, in un questa fase di indifferenza e cinismo, quasi commuove. Nel bene e nel male, l’asciutto ed essenziale documentario della Bellotti riesce efficacemente a raccontare tanto alcuni aspetti del nostro presente, tanto la storia (umana prima che socioculturale) che li sottende e che li determina. Ne viene fuori, come è lecito aspettarsi, un’Italia alla deriva dove però, sebbene la società riesca a stento a tutelare il singolo perfino per quelli che sono i bisogni basilari e fondamentali (il diritto a un’abitazione per chi è indigente, appunto) miracolosamente non vengono meno la forza di volontà, la capacità di reazione, l’ironia e l’empatia.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 19/02/2019
Italia, 2017
Durata: 60'

Articoli correlati

Ultimi della categoria