Perdutoamor
L'autobiografia-fantasia di Franco Battiato. Il ballo del potere dell'immagine.
«Il nascere e morire sono i due momenti unicamente reali: il resto è sogno, intervallato da qualche insignificante sprazzo di veglia». La frase di Manlio Sgalambro apre il primo film di Franco Battiato, Perdutoamor del 2003: «un film balletto», lo definiva lo stesso cantautore, e la danza è quella di Ettore, alter ego trasfigurato del regista, che comincia nella Sicilia degli anni Cinquanta. Nella sequenza iniziale le donne stanno imparando a filare, solo dopo la cinepresa arriva al bambino protagonista: sono le donne di Battiato, quelle che si aspettavano alla fine della messa nella Prospettiva Nevski. Sì, perché questo piccolo film di 87 minuti si comporta proprio come una canzone del maestro: coniuga alto e basso, seriosità e ironia, Pascal a Dalida, Bach alla vagina. Ma qui il medium è un altro, non è più (solo) la musica, e la coppia Battiato-Sgalambro generò un oggetto strano, senza etichetta, fuori da tutto il cinema italiano contemporaneo, ancora più dissonante perché ne ripropone alcuni volti (Donatella Finocchiaro, Ninni Bruschetta, Gabriele Ferzetti).
Perdutoamor è un ritratto di artista di giovane, un’autobiografia immaginaria di Franco/Ettore interpretato da Corrado Fortuna che, più che muoversi in Sicilia, la evoca: il racconto non è una descrizione ma una sensazione, un percorso sfrangiato che salta da una parte all’altra, avanza per stralci, si lancia da un punto al successivo. Battiato trattiene nell’occhio le immagini della sua infanzia e le rimette in scena: l’incontro da bambino con l’amato Bach, grazie a un prete, il trasferimento a Milano, la conoscenza di un nobile dotto che gli insegna a leggere il reale (e l’irreale) con occhi “giusti”.
Nel frattempo le figure si rivolgono in camera in modo mascherato, come fa lo stesso Sgalambro nel finale, mentre Ettore sostiene perfino una video-istruzione di sesso tantrico, anticipando quel sincretismo culturale, religioso ed etnologico che sarà una base dell’artista. Il ballo si sviluppa nella balera fisica e mentale, grazie ai movimenti di macchina di Marco Pontecorvo, scandito dalla colonna sonora curata dallo stesso Battiato, che spazia con blasfemia da Mozart a Malafemmena. Il coming of age del musicante lo porterà a diventare uno scrittore, a dirazzare e insieme iniziare a trovare se stesso. Ettore vivrà lontano dai suoi natali consapevole che si tratta di una fuga a elastico: il monologo finale canta il senso di appartenenza a una terra, stringe il cordone ombelicale, perché alla Sicilia si dovrà sempre tornare.
Racconto intimo scritto per frammenti, che non è uguale a nessun altro, Perdutoamor non va però interpretato come la storia esatta di Battiato, come un'autobiografia letterale. Tutt’altro: “il resto è sogno”, d’altronde, e allora il film è un breve caleidoscopio ruiziano tra ricordo, fantasia e desiderio. Un gesto che forse non appartiene neanche al cinema ma a un’altra dimensione, per questo resta impalpabile, etereo come si addice all’invasione di campo di un gigante. “Il nascere e il morire sono i due momenti unicamente reali”: ora che per Battiato è intervenuto il secondo rivediamo i suoi sprazzi di veglia sotto forma di film, che non sono grande cinema, ma la conferma di un artista totale che si muoveva fluidamente tra tutte le arti. Un film ballo, appunto: il ballo del potere dell’immagine.