[Questo articolo fa parte di uno speciale dedicato al rapporto tra cinema e tempo, un approfondimento nato sulla coda lunga di Tenet, il film di Christopher Nolan che in questo difficile 2020 aveva riaperto una stagione cinematografica e riportato il grande pubblico in sala, seppur tra le tante difficoltà. Oggi, al momento in cui si scrive, quel tentativo è di nuovo interrotto, ma la suggestione del viaggio nel tempo rimane, la conserviamo come uno dei tanti, sottili fili che ci legano e riportano alle immagini. Perché il cinema, che fosse attraverso le griglie rodate del genere o l’interpretazione personale dello sguardo autoriale, si è sempre interrogato sulla quarta dimensione, ne è emanazione e macchina del tempo esso stesso, per come ci permette di viaggiare per ere prossime o lontane.
Questo dossier propone una serie di film che, in modo molto diverso tra loro, riflettono e “sperimentano” il viaggio nel tempo; una costellazione di titoli, per provare a capire come il cinema abbia affrontato l’argomento nelle sue diverse ramificazioni].
«Non andai sulla luna, molto più lontano andai... perché è il tempo la linea più lunga tra due punti».
Lo zoo di vetro - Tennessee Williams
Nel 1895 il padre della fantascienza H.G. Wells faceva uno dei primi viaggi nella quarta dimensione con il suo celebre racconto La macchina del tempo. Un racconto che sarà fondamentale per tutta la narrativa, il cinema e l’immaginario fantascientifico. George Pal, un altro padre ma del cinema sci-fi, nel 1960 porta sullo schermo le pagine di Wells realizzando un indimenticabile cult del genere, in Italia uscito con l’affascinante titolo L’uomo che visse nel futuro.
Due anni prima del più grande film costruito su un paradosso temporale, La jetée di Chris Marker, Pal porta sullo schermo The Time Machine senza tradire l’anima di quelle pagine e la visione pessimista sul genere umano, e costruendo le basi di quei paradossi temporali al cinema che incontreremo in Marker, Terry Gilliam, James Cameron e sicuramente Christopher Nolan.
Lo scienziato George (omaggio dello sceneggiatore David Duncan a H.G. Wells e allo stesso regista) costruisce la sua macchina del tempo. Siamo alle porte del nuovo secolo, il ‘900, quel “secolo breve” che in parte George attraverserà fermandosi durante le due Guerre Mondiali per poi dirigersi verso un remoto e inquietante futuro. Le teorie sulla quarta dimensione che lo avevano da sempre ossessionato spingono il protagonista a costruirsi una sua macchina che può viaggiare attraverso il tempo, un aggeggio tanto naïf nella sua meccanica quanto profondamente visionario e iconico, da meritare omaggi di vario genere, come nei Gremlins dell’ultra-cinefilo Joe Dante e nella serie The Big Bang Theory. George attraversa i primi decenni del ‘900 in una Londra devastata dalle guerre mentre il manichino di un negozio cambia abiti velocemente, a personificare il mutare dei tempi che sta attraversando l’inventore.
Il viaggio nel tempo di Pal porta il suo protagonista - a differenza del romanzo che per ovvie ragioni non può descrivere quelli che sarebbero stati gli eventi salienti del XX secolo - verso l’inquietante scoperta: l’umanità non avrà speranze. Perché il nostro viaggiatore arriverà in un mondo dove chi vive sulla superficie, gli Eloi, umani senza personalità, privi di memoria storica e di emozioni, sono in realtà soggiogati dai mostruosi Morlock, infaticabili lavoratori che ricorrono al cannibalismo mangiando gli inquilini dei piani alti. Parassiti tra Noi, potrebbe insinuare qualcuno. Nella sua artigianalità, con gli effetti speciali del tempo, i fondali disegnati della città e i costumi futuristici aumentano il fascino di un cult ormai senza tempo.
Quello de L’uomo che visse nel futuro è perciò un viaggio nel tempo dell’umanità e nella sua possibilità di salvezza, la fiducia dello scienziato viaggiatore (lo statuario Rod Taylor de Gli uccelli) viene fortemente tradita dall’incapacità del sistema sociale di crescere e migliorare. L’unica salvezza è l’amore per l’Eloi Weena che, a differenza del romanzo, riesce a preservare continuando con lei a esplorare il tempo, tornando indietro per poi ripartire e imparare. Il viaggio nel tempo diventa così strumento di riflessione politica, una riflessione però cupa e angosciante lungo la quale George vedrà svanire un’umanità che non è riuscita a conservare ciò che davvero è prezioso: la memoria. I libri marci che si sgretolano tra le mani dello scienziato sono la più grande sconfitta dell’umanità, che forse va oltre l’orrore delle guerre. Ma il barlume di speranza si nasconde proprio nell’ingegno: paradossalmente il nostro George potrà fare esperienza dei suoi viaggi e cambiare quel futuro così tristemente segnato? Nel cinema di quei viaggi ne abbiamo ancora molte tracce.