Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati
Dopo Belluscone, Maresco trova il suo ennesimo alter-ego in Franco Scaldati, genio invisibile abbandonato colpevolmente al suo dolore.
Franco Maresco è scomparso e il suo cinema, sempre di più, appare attratto da questa graduale, dissolta, tragicomica scomparsa. Succedeva in Belluscone, dove a sparire era il regista stesso, succede ne Gli uomini di questa città io non li conosco dove il margine, l’angolo estremo, il non-visto, si dissolvono nel più ingiusto e dolente oblio della memoria. Superati i freaks grotteschi di Cinico TV, non resta che l’uomo, abbandonato colpevolmente al suo dolore. Lo sforzo del suo cinema è ormai quello di cogliere i fantasmi del crepuscolo, lavorando all’interno della più radicale invisibilità per ricercare, in filigrana, segreti e dolenze del nostro piccolo paese: Maresco, più di qualsiasi altro regista italiano, soffre sulla sua pelle le immagini che racconta. I suoi ritratti sono talmente neri da farsi fisici: la solitudine, l’isolamento, la depressione agiscono sul corpo e sulla psiche, in una tristezza che pare l’ultima ancora, l’ultimo baluardo di un’umanità disperata e mai accettata. Egli gira e subisce i film che fa e, tassello dopo tassello, riedifica un ultimo, resistenziale, edificio della memoria. La stessa memoria che viene lasciata affogare tra le immagini del contemporaneo, perché inufficiale, scomoda, troppo lontana dalle delizie rassicuranti delle nostre immagini-idolo: in questo il suo gesto cinematografico è strenuamente, fieramente politico.
Se Belluscone era il noir ideale sulla scomparsa di un autore dal cinema e dal mondo, con Gli uomini di questa città io non li conosco, Maresco torna a riflettere sul crollo vertiginoso di un paese che non conosce perché dimentica troppo in fretta. Il cuore infranto dell’autore genera un film gemello di Belluscone, tanto da creare assieme a quest’ultimo un dittico perfetto. Questa volta il protagonista è il misconosciuto e troppo spesso dimenticato Franco Scaldati: poeta, drammaturgo e attore teatrale, regista di quel Il pozzo dei pazzi che permane come un residuo beckettiano intriso di assurda, dolceamara umanità. Scaldati è l’ennesimo doppio di Maresco, il protagonista assente di un film-ultimo che si muove tra le ombre deformi dell’Italia, alla ricerca vana di una roccia a cui appigliarsi nel turbinio di immagini che ci infrangono (e che finiscono per sommergerci).
Gli uomini di questa città io non li conosco è un’opera a cuore aperto, uno struggente film di specchi, richiami, immagini, parole e voci, che squarciano il grottesco per scoprire un mondo di delicatezza: cos’è il cinema di Maresco se non una continua, umanissima riflessione sul suo essere fuori, sul suo essere un profondo, purissimo atto di rivolta? E’ il cinema dei grandi perdenti, il cinema degli invisibili, il cinema di chi ricorda un altro mondo, un’altra storia, sentendo la responsabilità morale di raccontarla: è l’unico modo per legittimarsi come esseri viventi, è l’unico modo per sussistere (o almeno illudersi di farlo), tentando di salvarsi dal cannibalismo delle immagini. Non importa se poi si rimarrà sconfitti, l’importante è continuare a dire ciò che gli altri non dicono.
Maresco e il suo riflesso Scaldati commuovono per il loro sguardo amaro, delicatissimo, su un presente che non ha la forza di fissare punti saldi. L’Italia lascia semplicemente che tutto sia fino a non essere più, condannando le sue voci più profonde ad annaspare sole. In questa dimenticanza risiede la sua colpa più grande.
E mentre ci scalda il cuore, questo piccolo sincerissimo ritratto ci consegna una tristezza priva di consolazioni, priva di mediazioni, ma viva, densa, fragilissima.
Ancora una volta, grazie all’invisibile Franco Maresco, in affettuoso ricordo del suo ultimo, gigantesco doppio: Franco Scaldati (1943-2013).