Costa della Piccardia, cittadina di Ault. In un’estate sonnolenta si affacciano sulla costa della Manica Patricia (Laure Calamy, in perenne movimento) e sua figlia Juliette (Constance Rousseau, seduttiva senza infingimenti loliteschi): fin troppo estroversa la prima, fin troppo seriosa la seconda. Il primo contatto sul posto è Sylvain (Vincent Macaigne, capace di essere gigione senza fare di sé stesso una caricatura), un timido corpulento di fragilità infinita e sconnessa che gestisce la pensione locale. Una sformata elettricità anima il trio, che racconta di un uomo dalle placide emozioni sconvolto da un lampo di vita. Questa relazione, che assomiglia a un triangolo isoscele, porta i personaggi ad annusarsi e conoscersi, finendo per incartarsi in una ronde emotiva le cui regole del gioco sono segnate dall’intraprendenza naturale, quasi immateriale delle due donne.
Un monde sans femmes è infatti il racconto di una – o più – esplosioni: la sola presenza di Patricia e Juliette terremota le certezze ataviche di un luogo privo di presente, prima ancora che di futuro. Qualsiasi cosa accada infatti, i personaggi di Ault sono destinati a una perenne marginalità sentimentale, incapaci di affrontare i moti del cuore come di prendere in mano le redini della propria vita. Guillaume Brac testimonia qui per la prima volta, in modo compiuto, la sua predilezione per le languide atmosfere estive, dove le azioni dei protagonisti sembrano liquefarsi in una perenne stasi. Un monde sans femmes racconta in fondo la scelta di un nuovo campo di battaglia per due donne emancipate in naturale conflitto, con sullo sfondo un movimento entropico degli abitanti del villaggio, incapaci e inadatti a qualsiasi cambiamento. Gli uomini del posto, protagonisti o meno, vengono ridotti a un coro di rimbalzo, a figure immerse in un paesaggio immutabile, vivificato all’improvviso da una nuova e imprevista emotività. Sylvain fa a botte con un poliziotto locale, a causa della sua gelosia improvvisamente incontrollabile. Sogni di avventure estive si affacciano nelle menti dei “dragatori” di turiste, incapaci di distinguere un sogno da seduttori da una realtà sempre uguale; vecchie di paese ricordano le loro avventure piccole con il fascino delle chansons de geste: tutto è perché nulla accade.
Non è casualmente che le inquadrature di Brac – quadri semi immoti in cui ogni movimento appare come una frattura – si animino solo in presenza delle due protagoniste. Perché, andando avanti in una storia che consapevolmente appare come circolare, come una vite che piano piano trova il suo posto nel legno, si intuisce con chiarezza che l’unica spinta propulsiva – certo, principalmente verso un conflitto, qualsiasi conflitto – è portata da Patricia e Juliette. Ogni frustrazione e difficoltà è messa in superficie, come si portano in superficie le vongole che Sylvain, in uno dei rari momenti di sicurezza di sé, insegna loro a pescare. La trama è, in fondo, un piccolo cortocircuito, un momento in cui Patricia e Juliette lasciano spazio ai loro goffi corteggiatori, pieni di storie e ricordi che non sono neanche i loro. Il “mondo senza donne” – e quindi, senza vita – è quello che trovano e lasciano le due protagoniste, con tutti i dubbi e le confusioni che incarnano, ma sempre piene di una vitalità che sembra aliena, per quanto necessaria. L’ultima inquadratura del film, di rohmeriana e cristallina limpidezza, mostra madre e figlia finalmente – per ora – pacificate: felici di aver trovato il disinnesco della loro bomba personale e coscienti del ruolo che, naturalmente, sono state in grado di ricoprire. La vita, si sa, è altrove e ogni movimento dell’anima porta con sé qualcosa di sacro e benedetto.
Nel 2011 Brac già conosceva il potere dei sentimenti e si dimostrava capace di metterlo in scena senza orpelli, senza accelerazioni, senza enfasi retoriche. Un monde sans femme, in fondo, ci prepara “all’abbordaggio” emotivo più eclatante e ostentatamente romantico dell’ultimo, splendido film di un autore ancora tutto da studiare.