Habitat [Piavoli]
Il senso del reale nel cinema di Franco Piavoli, un essere biologico ripreso nel suo habitat naturale
"La mia è una natura incline alla contemplazione" – Giorgio Morandi
Come la natura in una teca di vetro. Classificata nella forma morta di una vita passata, che un giorno fu stata, restituita nella sua silhouette appassita, ma presente. La contemplazione di Morandi come la contemplazione di Piavoli. La natura in forme colori e luci, senza la schiavitù della prospettiva, visione di profondità stereoscopica che va guadagnata dal contemplatore. Una natura che è osservazione del tempo, che scorre e passa sull’asse cartesiano della vita. Racchiusa in una forma viva e mobile, perenne illusione scopica come solo l’arte cinematografica sa dare. Certamente non un cinema illusorio, non un marchingegno che distanzia, non un medium di finzione scenica, non un cinema che documenta attraverso la riproposizione di una realtà catturata dall’ottica pseudo-oggettiva della macchina da presa. Un cinema che non è niente di tutto ciò, che si divincola dalle definizioni, che non vuole (e a cui non interessa) essere catturato dalle strette maglie di una marginale spiegazione, limite di confine questo che soffoca un’archetipa visione primordiale, di cui solo l’espressione della natura, che fugge tocca rifugge e poi muore per sempre rinascere, può esserne l’espressione più assoluta.
Non mi sforzo a definire il cinema di Franco Piavoli in quanto in esso le definizioni sono bandite, astrazioni non necessarie e violentatrici della vita stessa, è un cinema che fa delle immagini, insieme protesi spaziali e temporali, la sintesi (non necessaria) di una prosa oculare. Del cinema di Piavoli si può dire tutto o niente, preferendo (per rispetto) non dire nulla, vederlo piuttosto che discuterne o raccontarlo. Preferisco vederlo in quanto Essere presente alla (sua) visione e selezione del mondo (che sempre lo e ci circonda), come uno spettatore a cui è stata privata la vista e che riesce a vedere il mondo naturale (ed il tempo che ci investe e ci governa) con la fascinazione della prima volta, attraverso il miglior medium possibile: l’unico in grado di restituire (nel sogno conscio) la vita vera o la finzione artificiale. Che siano voci remote di un tempo lontano che tornano tra sussurri in un presente risonante, o che siano passaggi di stagioni e vita naturale che scandiscono i ritmi, gli amori, i sentimenti, le morti di una campagna più vera che mai, o che siano viaggi mitici di ritorni impervi, poemici, o che sia la solitudine di un caldo e torrido agosto – o che sia, infine, un’opera che si specchia nel mondo riconoscendosi nell’equilibrio dettato dal tempo; che sia questo o che sia altro il cinema nella sua forma più pura e cristallina, è stato lo stesso regista bresciano ad averlo inventato.
Un habitat dove l’occhio riprende, cattura e sorregge una fluidità (dis)incantata della naturalezza del mondo nel quale siamo immersi, del quale facciamo parte, come animali senzienti, tasselli di un perfetto equilibrio biologico e biochimico. I due registi, Casazza e Ferri, raccontano Piavoli come lo stesso Piavoli si è sempre raccontato. Come individuo inscritto nel suo stesso habitat, parte terminale di un naturale ramo umano, che si è confuso con l’acqua che scorre nel torrente oltre il proprio giardino, che ha confuso il suo canto con il vociare degli uccelli che ha ascoltato, che ha posato il suo occhio nello sguardo in contemplazione di un paesaggio, parte di un tutto, uomo in vita che esiste, che è sempre esistito e che esisterà sempre. Tra le mura della sua casa, sopra la staticità del legno, dentro a cornici di vetro dove la natura dimora svincolata dalla morte biologica, presentandosi in forma, in arte. Piavoli parla e ci parla di cinema, del suo cinema ma anche del mondo che a tutti appartiene. Piavoli ci suona la sua cacofonica sinfonia, ed il duo registico ce lo presenta da un punto di vista laterale, non imperante, ma che ascolta e vede oltre il riflesso di un vetro, dietro una tenda, che interagisce senza spiare, che osserva con lo sguardo, con la presenza e la discrezione di un testimone partecipe dell’evento filmato.Tra il montaggio di immagini riprese da Evasi, Il pianeta azzurro, Ambulatorio, Piavoli si confronta con la meccanica del mezzo espressivo, sull’identità della realtà ripresa da un obbiettivo, cos’è la verità nel cinema? E cos’è la finzione? Mentre intanto la vita vicino ci scorre e per rappresentarla la si cerca di selezionare, cristallizzandola in una forma armonica? Piavoli c’è ed esiste nel suo Habitat piavoliano ma potrebbe anche non esserci, tanto lo si racconta attraverso il suo personale contesto umano e naturale, così come l’uomo stesso esiste nella natura in quanto abitante del suo ambiente; ma se l’uomo non esistesse, la natura continuerebbe comunque a raccontarlo ed il cinema a restituircelo? Credo proprio si.