Le verità
Scelto come apertura di Venezia 76, il primo film internazionale di Kore'eda delude in parte le aspettative e si svela come una riproposizione in minore dei suoi tipici temi famigliari, riletti attraverso una lente metacinematografica che manca presto di respiro.
Fabienne e Lumir, madre e figlia, la prima grande attrice del cinema francese, la seconda sceneggiatrice sposata a un attore americano di serie b con problemi di alcolismo. Una famiglia che ruota attorno al set e alla magia del cinema, e che si riunisce in Francia nella lussuosa casa di Fabienne per festeggiare l’uscita editoriale delle sue memorie. Il titolo è Le verità, il contenuto decisamente meno, come si accorgerà ben presto Lumir. Intanto la figlia di lei guarda estasiata la grande casa della nonna, torreggiante e avvolta da un ricco giardino: «è come un castello!» dice sorpresa e divertita; «sì, ma dietro c’è costruita una prigione», replica la mamma. In questo scambio di battute, che apre il film e torna un’altra volta in corso d’opera, c’è la cifra e il motore primo del cinema intimista di Hirokazu Kore'eda, da sempre interessato a raccontare le intessiture agrodolci della vita famigliare, il doppio volto – costruttivo ma anche opprimente, accogliente ma condizionante – dei legami affettivi e fondanti che costituiscono la vita insieme. Per questo Le verità è un film che programmaticamente nega sé stesso e gioca con il concetto di verità moltiplicandone i punti di vista, le possibilità, fino a trovare nella mise en abîme del set e della finzione artistica l’esemplificazione ideale dell’aporia intrinseca ai rapporti famigliari, al loro essere allo stesso tempo castello e prigione.
Fresco di Palma d’oro per uno dei suoi film più belli (Un affare di famiglia), Kore'eda si apre per la prima volta alla produzione internazionale, gira in francese e inglese reclutando un cast di divi (Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke) e prende a prestito il titolo di uno dei film più belli di Clouzot, Le verità appunto, feroce atto d’accusa contro l'ipocrisia borghese della Francia anni Sessanta incarnato da Brigitte Bardot.
Qui a tenere banco è invece la Deneuve, sulla quale il regista giapponese – ispirandosi a una sua opera teatrale scritta 15 anni fa – costruisce la figura di una decadente attrice storica del cinema francese, sorta di Norma Desmond circondata da ex mariti, mariti mancati, mariti attuali, un ginepraio di maschi irrisolti e incerti e perpetuamente infantili che fa da controcampo alla centralità femminea del racconto (in particolare nel rapporto madre-figlia) ma che è anche, nella sua sterilità un po’ pigra e superficiale, il primo campanello d’allarme di una generale povertà d’indagine e scavo psicologico.
Afflitto da una frivolezza per cui la leggiadria sotto le righe dei migliori film di Kore'eda trascolora qui in leggerezza e banalità, Le verità chiama a raccolta tre generazioni femminili, nonna, madre e figlia, e di queste cerca di catturare i vari punti di vista senza riuscire però a conquistarne nessuno; nel corso del racconto emergono tracce di quel realismo magico che popola il mondo dell’infanzia, ritornano i fantasmi di traumi e conflittualità insiti nel rapporto madre-figlia, si moltiplicano le asperità egocentriche di una donna matura che sente la vecchiaia e la dismissione del suo ruolo come una minaccia incombente, ma in questo gioco di doppi manca sempre un momento di reale confronto, uno spazio di approfondimento drammatico. Sulla carta tale ruolo dovrebbe essere svolto dalla dimensione meta-testuale della storia, alla quale Kore'eda affida il compito di far emergere e problematizzare i rapporti affettivi, ma vuoi l’affastellarsi di riferimenti cinefili gratuiti, vuoi la volontà di non andare mai a fondo nelle tensioni evocate, preservando un costante tono da commedia brillante, la struttura specchiata del film nel film, che tanto richiama l'ultimo Assayas, non ha il respiro e il coraggio necessari a far cambiare marcia al racconto.
Il risultato non sembra essere né dramma da camera né ricostruzione sotto le righe di universi famigliari complessi (come comunque riuscivano a essere, pur come opere minori, film come Ritratto di famiglia con tempesta); dispiace dirlo, perché comunque il film in piccolo funziona e regala anche momenti di grazia, ma Le verità è un lavoro in tono fortemente minore, che banalizza le tematiche del suo regista e sembra nascere da un patteggiamento tra apertura internazionale e sguardo personale a deciso svantaggio della seconda.