Hirokazu Koreeda si cimenta per la prima volta con la serialità, inquadrando il percorso di formazione delle aspiranti geisha con assoluta levità e tenerezza, senza però mancare di lavorare sottotraccia sulla complessità e profondità delle sue immagini.
Al suo primo film in lingua coreana, Kore'eda conferma il suo cinema fatto di relazioni umane e piccole attenzioni, necessità d'incontro e difficoltà da condividere, interrogandosi ancora una volta sulla natura del concetto di famiglia.
Scelto come apertura di Venezia 76, il primo film internazionale di Kore'eda delude in parte le aspettative e si svela come una riproposizione in minore dei suoi tipici temi famigliari, riletti attraverso una lente metacinematografica che manca presto di respiro.
L’uomo è un incrocio di sguardi, e Kore'eda non fa altro che raccontare l’altro da sé, la fame di punti di riferimento da parte dell’identità sotto scacco.