The Woman Who Ran
Nuovo atto di un cinema che torna su sé stesso, sui propri luoghi e caratteri, in un continuo processo di messa in discussione e variazione.
The Woman Who Ran di Hong Sang-soo si apre con una scena bucolica: un gallo e delle galline si nutrono in un pollaio mentre una donna cura il proprio orto. Quell’angolo di serenità e pace riserva, tuttavia, alcune sorprese. Il gallo cerca, per sua natura, di prevalere sulle galline, di farsi spazio, le scaccia beccandole sul dorso tanto da far perdere loro il piumaggio. Il senso di prevaricazione e soffocamento da parte della figura maschile viene esternato e condiviso anche negli incontri compiuti dalla protagonista del film, Gam-hee - interpretata dalla musa ed (ex?) compagna del regista Kim Min-hee - con alcune amiche. Visite previste o fortuite rese possibili perché il marito della donna è in viaggio per lavoro. «In cinque anni che siamo sposati, questa è la prima volta che stiamo distanti per più di un giorno», confessa Gam-hee alle tre amiche che incontra in tre giorni diversi del suo scappare, fuggire da una quotidianità che comincia a starle stretta. Il marito infatti crede che se due persone si amino è giusto che stiano sempre insieme. Le tre amiche sono soprese dalle parole della donna, che lei sembra ammirare profondamente proprio perché sono riuscite ad emanciparsi, a crearsi un proprio spazio, a coltivare e portare avanti i propri hobby, a essere indipendenti e vivere una vita ricca di soddisfazioni. Gam-hee invece ha un negozio di fiori e trova il suo lavoro noioso. A mano a mano, nell’incontro con le altre donne, prende consapevolezza della propria situazione che fino ad allora non ha cercato in alcun modo di cambiare. «Sei innamorata?», le chiede la seconda amica a cui fa visita. «Non so, non è qualcosa che si possa dimostrare, cerchiamo di avere bei momenti tutti i giorni».
L’atto di rimessa in discussione e ricodifica di una variazione dello stesso tema, così come potrebbe venir letto tutto il cinema di Hong Sang-soo, è evidente anche in The Woman Who Ran. Le situazioni si ripetono, i gesti, gli incontri, le parole. L’elemento di disturbo è certamente la figura maschile. Tre sono gli altrettanti uomini con cui Gam-hee e le amiche avranno modo di interagire, tutti ripresi prevalentemente di spalle, tutti che rimangono sul ciglio della porta pronti a invadere lo spazio domestico e privato delle donne. Il primo si lamenta del fatto che venga dato da mangiare ai gatti randagi, che in questo modo continuano a richiedere cibo e non vanno più via, il secondo invece cerca disperatamente di riallacciare i rapporti con la donna con cui ha avuto un incontro occasionale.
Gam-hee osserva le scene dall’interno della casa, attraverso le telecamere a circuito chiuso, atte proprio a garantire la protezione e la salvaguardia dello spazio intimo e privato. Sembra ammirata dall’atteggiamento delle amiche che in maniera più o meno pacata riescono a controbattere, a non farsi sopraffare dalla figura maschile. La presa di consapevolezza della propria agency arriva nel finale quando Gam-hee avrà un incontro-scontro non con il marito ma con un ex amante. La struttura del racconto continua a ripetersi anche in questo terzo e ultimo episodio, il dialogo tra le due amiche ricalca quelli precedenti ma, a differenza di questi, scopriamo qualcosa sul passato di Gam-hee, una probabile frattura o delusione amorosa sia con la donna che con l’uomo? Il finale è un ritorno a due elementi chiave della filmografia di Hong, il cinema e la spiaggia, che qui si fondono, diventando un’immagine contemplativa su cui la protagonista ritorna per fuggire o perdersi ancora.