I bambini sanno
Il senso dell'infanzia che attraversa l'Italia, nei racconti di 38 bambini alle prese con le loro opinioni, gli insegnamenti e i grandi temi della vita.
"I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano di spiegargli tutto ogni volta". Con queste testuali parole tratte dal Piccolo principe - l’opera letteraria più conosciuta di Antoine de Saint Exupéry - Walter Veltroni torna al grande schermo nel ruolo di regista, un anno dopo aver indugiato sul film documentario Quando c’era Berlinguer, ispirato alla vita del segretario del PCI Enrico Berlinguer.
Un’ispirazione registica che con I bambini sanno passa naturalmente dalla letteratura e dal cinema, che l’ex segretario del Partito Democratico e due volte sindaco di Roma cita ampiamente con una serie di clip/sequenze tratte da pellicole con bambini protagonisti, prima fra tutte I 400 colpi di Truffaut. Ma se nel primo quanto celeberrimo manifesto della Nouvelle Vague francese, l’inno alla libertà dell’infanzia descriveva le vicende di un bambino lungo una forma filmica immediata, realista, che strizzava l’occhio al Rossellini ’pensiero’, qui la narrazione veltroniana chiama a sè un’indagine antropologica che sveli, ed aggiorni, quel repertorio di volti che compongono l’odierna nazione Italia. Un viaggio attraverso le voci di 38 pre-adolescenti fra gli 8 e i 13 anni di varie regioni italiane, di estrazioni sociali e culturali molto diverse, a cui viene offerta la possibilità di dire la loro sulle grandi tematiche della vita: l’amore, Dio, la sessualità, la famiglia, la crisi economica e il senso del futuro che li aspetta. Scrutando con sguardo ad altezza bambino una società vista sulle ’cose dei grandi’. Un paese-mondo, che nonostante nel corso dei decenni abbia fatto a pezzi un tessuto morale e sociale, massacrando un’intera generazione a colpi di slogan e sondaggi, a quell’età deve necessariamente tornare a guardare. Per cogliere le nuove urgenze, spesso incomprese o lasciate lì inascoltate nei silenzi delle case, e perché no contribuendo a riflettere sulla nostra organizzazione familiare e collettiva.
La dimensione intima, invero, è la più universale tra le possibili chiavi di lettura del film di Veltroni. Nel tempo delle grandi produzioni nostalgiche (lo stesso Berlinguer, dove si parlava a una generazione ’orfana’ di ciò che era e che poi sarebbe potuta diventare la politica italiana), I bambini sanno scava in egual misura nel dolore, nelle gioie, nella sensibilità pura e non corrotta dei più piccoli, con l’intento di estrapolare sovrastrutture e contraddizioni di un quadro d’insieme più ampio; che della spontaneità di chi parla, riporti ad un vissuto che tutti abbiamo conosciuto e ri-viviamo attraverso figli o nipoti della stessa età. Perciò alla domanda "Cosa serve nella vita per essere felici?" Kevin, 11 anni, non ha dubbi: "Sognare". E come nell’ultimo Nanni Moretti di Mia madre, anche Veltroni non nasconde l’assenza che lo lacera (la perdita prematura del padre) ma ne fa motore e strumento di introspezione per quel mondo altrimenti lontanissimo, quasi ai confini dell’etereo e non solo. Eppure dalle esperienze e dai pensieri di questi ragazzini - che parafrasando Elsa Morente, forse un giorno salveranno il mondo - nel mazzo di frasi fatte e di facce immortalate ora felici, ora preoccupate, I bambini sanno poggia in un terreno facile e troppo edulcorato sulla realtà per essere calpestato. Senza mai prendere il rischio di porsi domande ’conflittuali’, lasciando invece spazio a quei pensieri in libertà che davanti alla macchina da presa hanno il sapore dell’artefatto, ingannevole e fintanto ’buonista’.
Ecco, il documentario sociale trasformarsi dunque nel film-manifesto ideale: uno slogan per le grandi masse frutto di ragionamenti semplici quanto elaborati alle origini, che però stenta ad inserirsi con giudizio nell’osservare il reale. Benché al dì fuori di un talk show pomeridiano, ideologia e politica vengono sostituite da tenerezza e (molti) sorrisi, dentro le camerette colorate e i capelli ben pettinati che vorrebbero offrire la fotografia pulita, priva di pregiudizi, dell’Italia e del mondo di oggi. Al netto di apparire come una furba operazione di chirurgia estetica, dove ogni mattone del puzzle viene montato ed assemblato con grande attenzione al risultato. Perchè ci proibisce, Veltroni, di prendere sotto gamba i suoi protagonisti, sfruttando la loro innocenza e debolezza per far salire le casse dall’audience. Mentre l’occhio-camera punta a dar loro credibilità, l’autore non invade il campo nè con la sua figura nè con il suo talento (limitandosi a porre brevi domande agli intervistati), che pure avrebbe necessitato mostrare a più riprese. I bambini sanno finisce così nel trascurare il patrimonio di saggezza di cui si fa carico, per farsi statica fotografia in cornice d’argento sul mobile di genitori riverenti a regole e nozioni. Quanto alle idee, e del tipo di approccio alla vita che coltiverà la nuova generazione adulta di italiani, ancora non ci è dato sapere.