The Iceman

Un'altra grande prova di Michael Shannon per un viaggio criminale nella mente di un killer spietato

Tutto inizia con una panoramica notturna della città. Un uomo ed una donna sono seduti uno di fronte l’altro in un ristorante, nel bel mezzo di un imbarazzante appuntamento. Lui, silenzioso, serio, è Richard Kuklinski (Michael Shannon), lei è la dolce Deborah (Winona Ryder). A lui basta una battuta, “sei una versione più carina di Natalie Wood”, per farla innamorare.

Nella scena successiva Richard gioca a biliardo con dei suoi amici e qualche conoscente. E anche qui basta una battuta di troppo fatta da uno dei giocatori nei confronti della sua futura moglie per farlo infuriare. Lo segue verso l’auto e con distacco gli taglia la gola. Richard del resto lavora per Roy Demeo (Ray Liotta), boss locale che scopre nel “polacco” la glacialità inumana nell’omicidio.

E’ su questo doppio binario che scorre The Iceman, storia di uno dei serial killer più temuti d’America, per anni al soldo della mafia e con più di cento morti sulle spalle. Ispirata vagamente alla storia reale, la pellicola fa della storia di Kuklinski una riflessione sul Male come inevitabile malattia dell’anima. Un’afflizione che Ariel Vromen racconta abilmente facendo attraversare al suo protagonista quasi vent’anni di storia americana. Come nei vecchi classici di uno Scorsese o di un De Palma il passaggio del tempo è segnato da piccoli ma evidenti particolari, come le canzoni rock che invadono le radio quando si entra negli anni settanta, il dominio dei baffi a manubrio verso la fine della decade e lo spuntare di colori accesi durante gli ottanta.

Kuklinski è un personaggio che funziona nell’interpretazione magistrale di Shannon, in quei maledetti occhi blu circondati da rughe profonde. L’amore nei confronti della moglie e delle figlie è di quelli patologici, Richard ci si aggrappa come un faro di sentimento in un mare di violenza. Perché il mondo mafioso di Kuklinski è abitato da psicopatici, personaggi dal grilletto facile, come Josh Rosenthal, che mostra un inedito David Schwimmer distante anni luce dal Ros Geller di Friends; o ancora Robert Pronge aka Mr. Frenzy, interpretato da un irriconoscibile Chris Evans, un killer che si aggira su di un camioncino dei gelati, uccide e congela le proprie vittime.

Nonostante le somiglianze di genere sia chiaro che Scorsese e De Palma restano modelli lontani, tanto la tragicomica ricostruzione del primo quanto l’azione cinefila del secondo. E nonostante si parli di mafiosi italoamericani ci si dimentichi l’epica del Padrino. La mafia di The Iceman rimane uno sfondo opaco, poco chiaro, punta di un iceberg al quale Vromen non si interessa minimamente. Tutto il baricentro del film è sulla trasformazione diabolica di Kuklinski e sulla sua incapacità di strisciare lungo il filo del rasoio, per dirla alla Kurtz: il dialogo in carcere con il fratello Joey e la scena dell’omicidio del personaggio di James Franco sono eloquenti. Nella prima scopriamo che Richard è “malvagio” fin dall’infanzia, un destinato insomma, con riferimenti a violenze perpetrate durante la sua giovinezza. Nel secondo caso Richard deve invece uccidere il personaggio di Franco, Marty, il quale comincia a pregare Dio per salvarlo. Il “polacco” ironicamente, invece di ucciderlo immediatamente gli si siede di fronte, affinché Dio stesso possa apparire per salvarlo. La “bestemmia”, il diletto nei confronti di un Dio inesistente agli occhi di Kuklinski, ribatte il tema del dualismo con la famiglie: le figlie frequentano una scuola cattolica per il volere stesso del padre. Il film allora volge verso l’inevitabile incapacità del killer di strisciare sul filo del rasoio, dove lo spazio famigliare è destinato a rimpicciolirsi e a diventare sempre più pericoloso.

The Iceman è una piccola perla, opera di un talentuoso regista, che ha soprattutto avuto la fortuna (e la bravura) di dirigere uno Shannon ed un intero cast in stato di grazia.

Autore: Diego De Angelis
Pubblicato il 17/01/2015

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