Il nome del figlio
Una commedia sui vizi della borghesia intellettuale che svela senza graffiare
Ah, i sessantottini italiani e i loro figli meglio cresciuti, nutriti a edizioni Adelphi e impegno critico! Pensiamoci bene: in un periodo in cui il vile danaro spinge la mente a riflessione più materialistiche, la casta della nostrana borghesia “illuminata” che giudizio ispira? Per quanto il vanto di una presunta superiorità morale sia stato spesso strumentalizzato in argomentazioni pretestuosamente contro-intellettuali, tale orgoglio è senza dubbio presente in molti soggetti della specie; ed è proprio in un contesto antropologico che si colloca Il nome del figlio che riprende dal soggetto di una commedia francese di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, Le Prenom, poi portata al cinema come Cena fra Amici l’idea di impronta teatrale di chiudere un gruppo di persone in un ambiente chiuso con premesse apparentemente rassicuranti per poi accendere la miccia e dar inizio allo scontro.
Nello specifico, si tratta di un convivio fra amici di vecchia data. Paolo Pontecorvo (Alessandro Gassman) sta per avere un figlio dalla sua neo moglie Simona (Micaela Ramazzotti), ex ragazza di periferia diventata famosa dopo la pubblicazione di un libro a tinte rosse. Sandro (Luigi Lo Cascio), vecchio amico di Paolo e marito di sua sorella Betta (Valeria Golino)gli ha sempre sottilmente rimproverato la mancanza di quell’impegno civile che aveva contraddistinto il padre, il defunto Emanuele Pontecorvo, intellettuale ebreo e comunista cresciuto sotto il regime fascista, con cui da ragazzo intratteneva un rapporto quasi filiale. Se Paolo è diventato un frivolo agente immobiliare, lui ha seguito ben altra strada, è docente universitario, scrittore e si rifiuta di perdere un posto all’agorà virtuale del momento, scambiando decine di tweet. La moglie cucina pasti bio e fa ginnastica isometrica mentre si aggira per stanze ingombre di libri per star dietro al marito, ai figli e alla casa, confidandosi quando può con un comune amico, Claudio (Rocco Papaleo), che fa da spettatore ai continui battibecchi fra tutti. Un equilibro fragile fra affetto e insofferenza che rischia di venir meno quando Paolo rivela agli amici il nome pensato con la moglie per il nascituro: un nome proibito, che richiama un personaggio devastante della storia italiana del Novecento.
Come studio sociologico il film di Francesca Archibugi sfiora forse in qualche punto la caricatura, senza però mai scadere nell’inverosimile. Ciò non toglie che più che l’analisi di costume sia il meccanismo della commedia a venire meglio alla regista, perché è nel passaggio fra dibattito morale a gioco di equivoci che Il nome del figlio raggiunge il suo apice. Un complicato intreccio di segreti e sottintesi mal interpretati costituisce la base per le scene più esilaranti e allo stesso tempo più intime, con un ottimo lavoro attoriale di gruppo. Se c’è da fare un appunto, è solo all’intento di voler contrapporre a questi intellettuali invecchiati convinti, almeno a parole, di poter cambiare il mondo o almeno di aver diritto di dire ciò che è bene e ciò che è male, una figura ancor più parodistica, come la popolana ignorante ma dalla fine sensibilità che tanto spesso ha abbondato sugli schermi italiani. Figura vincente replicata, semplificata e data per scontata fino a perdere l’iniziale valore narrativo. Tra tutti il personaggio di Micaela Ramazzotti è l’unica vera caricatura: beffa paradossale per un film, riuscito ma anche troppo edulcorato, su quanto alcuni appartenenti all’élite culturale del nostro paese siano diventati le maschere di se stessi.