Il pianoforte e il cinema, sodalizio ormai sfruttato ma sempre affascinante, nel delinerare ritratti di artisti spesso in simbiosi col proprio strumento, che è spesso fulcro del loro mondo o veicolo di catarsi per il proprio malessere: da Holly Hunter, musicista muta in Lezioni di piano (Jane Campion, 1993) o il magnifico Geoffrey Rush nei panni di David Helcott in Shine (Scott Hicks, 1996), fino ad arrivare a uno dei capolavori di Polanski, Il pianista (2002), tratto dall’autobiografia di Wladyslaw Szpilman, straziante e lucidissimo affresco sull’Olocausto dal punto di vista degli ebrei polacchi. Si vola a livelli decisamente più bassi con questo Il ricatto (2013), terzo lungometraggio dello spagnolo Eugenio Mira che nel 2010 firmò l’interessante thriller Agnosia; la sua ultima fatica è una produzione europea ma di stampo americano, che vede nel cast Elijah Wood nel ruolo del pianista Tom Selznick, di ritorno sui palchi concertistici dopo cinque anni di assenza, causata da un clamoroso flop, e John Cusack, villain che lo tiene sotto tiro per l’intera durata della performance. Il plot è quanto di più semplice si possa immaginare, ma potenzialmente efficace: Selznick, in pieno stage fright, trova sullo spartito la scritta: “suona una nota sbagliata o morirai”, che dà il via a quello che dovrebbe essere un thriller tesissimo, asciutto ed essenziale. Un gioco del gatto col topo, duello a due dal sapore hitcockiano, che guarda a De Palma nella messa in scena in una sorta di vorrei ma non posso: il film di Mira, infatti, tenta di citare ma in realtà imita senza successo modelli troppo alti, risultando in un virtuosismo visivo fine a se stesso e, alla lunga, sostanzialmente irritante. La pecca maggiore de Il ricatto si ritrova nella sua spina dorsale, ossia la sceneggiatura, a opera di Damien Chazelle, nel cui carnet figura anche il non eccelso The Last Exorcism – Liberaci dal male (2013), sequel del L’ultimo esorcismo (2010), pellicole che non sono esattamente esempi di plot inossidabili. Lo script è incoerente, con forzature inverosimili (la motivazione dietro alle gesta del killer) e dialoghi troppo spesso involontariamente comici.
Un pianista con ansia da palcoscenico, dopo una disastrosa performance di cinque anni prima che l’ha spinto ad allontanarsi dalle scene, una partitura estremamente difficoltosa al punto da venire definita impossibile (la Cinquette) e un killer che lo tiene sotto tiro, parlandogli tramite auricolare. Nella mani giuste, ci sarebbe stato materiale per un film coinvolgente, anche se il rimando a L’uomo che sapeva troppo (1956) e alla scena del teatro è talmente imponente e ingombrante da rendere il lavoro piuttosto difficile già in fase di partenza. Il modello così elevato rende Il ricatto a tratti risibile, nelle acrobazie di Wood che scrive sms o parla al cellulare nel corso del concerto in cerca di soccorso; Cusack, di recente avvezzo ai ruoli da villain (Il cacciatore di donne di Scott Walker, 2013), non ne esce molto meglio, comparendo soltanto a fine film con una performance goffa e priva di personalità. Il pianoforte dovrebbe essere il vero protagonista, oggetto-feticcio che è lascito del mentore di Sleznick, nonché compositore della famigerata Cinquette: il tutto si tramuta in una sorta di videoclip a suon di musica classica, con incursioni della mdp all’interno dello strumento e macro-dettagli, a rendere il tutto ancora più greve e irritante. Una buona occasione sprecata per un film non riuscito, spesso insulso e talvolta smaccatamente insensato: se un immaginario killer avesse tenuto sotto tiro regista e sceneggiatore del film, esigendo un esito perfetto, di sicuro non avrebbero fatto una bella fine.