Il sogno di Peter

Andare a scuola dovrebbe essere una cosa normale,

per i ragazzi di Nairobi è invece una conquista.

Samuel, assistente sociale

È ancora Zenti Arti Audiovisive, è nuovamente tempo di Sotterranei. Storie di divulgazione e d’insegnamento: questo ricorderà chi non passa da queste pagine per caso, chi ha seguito il nostro cammino alla scoperta di questa casa di produzione così esclusiva e al contempo seducente. L’enigma del sonno, La partita infinita, Suoni dalla città, tutti lavori che racchiudono i motivi di fascinazione che il marchio di fabbrica ha impresso loro: niente autorialità né particolare ricerca stilistica, nessun tipo di vezzo narrativo che possa ostacolare il fine ultimo e supremo, raccontare una storia. Tutto qui: nessun segreto particolare, niente sotterfugi né scorciatoie, una storia che valga la pena di far conoscere. Anche, e forse più d’ogni altra volta, per quel che riguarda Il sogno di Peter, documentario di Enrico Cerasuolo del 2007. C’è un modo, che forse è il più indicato per iniziare ad inquadrare questo lavoro, un premio ricevuto: primo premio sezione lungometraggi Festival Un film per la Pace, edizione 2008. Significativo, caratterizzante se non altro.

Strada di Nairobi, Kenya. Uno slum si estende oltre i confini della visione, distesa colossale di miseria, luogo eterno di denutrizione, analfabetismo, criminalità, dipendenza da droghe e ancora, forza di volontà, desiderio d’evasione, di riscatto, d’emancipazione. Il sogno di Peter nasce come un progetto – in collaborazione con Amref – che sappia dar voce a queste inespresse volontà: African Spelling Book dicono loro, 21 cortometraggi realizzati da ragazzi di strada per il National Geographic Channel. Nairobi secondo i ragazzi di Nairobi, Peter visto da Peter. Un ragazzo di 13 anni, preso dalla strada e rilasciato alla sua strada è quello che più d’ogni altro catalizza l’attenzione; Dream il titolo del suo lavoro, il desiderio di poter tornare a scuola il sogno che con questa occasione gli è stato concesso di gridare. Raccolgono materiali che poi possono rivendere a seconda del peso, comprano qualcosa per placare i crampi allo stomaco, comprano colla da sniffare e tornano in un anfratto dello slum chiamato “Base”: lamiera sopra la testa e terra sotto i piedi, la tiepida accoglienza del rifugio.

Le parole di Cerasuolo, tratte dalle note di regia, diradano un minimo l’oscurità che segue la domanda: perché proprio Peter? Perché di tante storie, la sua? “Fin dal primo giorno in Kenya ho cercato di capire come raccontare questa esperienza. Ho scelto Peter, il più piccolo e uno dei più problematici del gruppo. Ma, ripensandoci, è Peter che ha deciso di farsi scegliere, perchè ha bisogno di attenzioni e ha capito subito che essere protagonista di un documentario avrebbe potuto aiutarlo.” Peter ci ha saputo fare, facendosi bastare meno di un’ora per riuscire ad accompagnarci nella superficie del suo mondo, per lasciarci lontanamente intuire cosa sia la sua vita. Ma la domanda arriva ancora una volta prepotente e suggestiva: quanti ragazzi come Peter non hanno avuto la sua stessa intraprendenza, la sua “capacità di farsi scegliere?” Quante storie sono andate perse sotto i colpi dell’impossibilità? Sicuramente moltissime, ma aver ricevuto una storia in risposta è il solo presupposto che ci ha condotto alla domanda.

Autore: Marco Giacinti
Pubblicato il 22/08/2014

Ultimi della categoria