It Follows / La ripetizione dell'identico
Gli anni ’80 di It Follows non esistono: il film di Mitchell si svolge fuori dal tempo, in un eterno presente, perché questo è lo spazio metatestuale in cui vive l’horror americano contemporaneo.
Due sorelle parlano dell’appuntamento avuto da una di loro la serata precedente. “Hai fatto…?”. “No, ma avrei davvero voluto”. Mentre parlano, la continuità della ripresa viene interrotta da due inquadrature (due soggettive?): un gruppo di bambini e una casa. La sequenza, che arriva dopo quindici minuti dall’inizio di It Follows di David Robert Mitchell, richiama in maniera vistosa Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter, e rappresenta una situazione tipica dell’horror a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. La stradina immersa nel verde, l’ambientazione idilliaca eppure carica di inquietudine, il taglio dell’inquadratura, la fotografia e i dialoghi sono elementi famigliari per lo spettatore.
Il film di Mitchell, d’altronde, ripercorre tutti (ma proprio tutti) gli stereotipi (e i luoghi) del genere. Il sesso come virus (e colpa da espiare con la morte); l’assassino (il mostro, la cosa) invisibile eppure onnipresente, polimorfo; i genitori assenti; l’idilliaca provincia americana (Detroit), che, come sempre, nasconde orrore e perversioni (il regista non ci risparmia neanche qualche dissolvenza lynchana, che accentua, assieme alla mancanza di riferimenti temporali, l’atmosfera onirica del film).
I primi minuti, da questo punto di vista, sono davvero chiarificatori: una lenta panoramica inquadra dapprima le casette schierate della provincia; da una di queste, esce una ragazza, che corre, sui tacchi. Sta scappando da qualcosa. Una sequenza già vista, come quasi ogni cosa in It Follows. Il citazionismo spinto del film, però, è tutto tranne che un gioco postmoderno fuori tempo massimo. Piuttosto, It Follows è un’operazione metatestuale e autoriflessiva, che agisce direttamente sul corpo dei classici del genere per interrogare il presente.
Mitchell si chiede se è ancora possibile, oggi, realizzare un film horror originale, libero dal peso del cinema del passato. Domanda non nuovissima anche questa, se si pensa che Carpenter ha realizzato, ben quattro anni fa, The Ward (2011), un film, scrive Giona A. Nazzaro (e le sue parole si potrebbero adattare benissimo a It Follows), che rappresenta «lo studio di un cervello messo in scena come un luogo chiuso e di un luogo che progressivamente si dilata e si apre sino a diventare un cervello che a sua volta si offre come teatro nel quale va in scena la ripetizione dell’identico».
La differenza è che It Follows, probabilmente grazie alla tematica sessuale, ha incontrato un successo insperato di critica e pubblico, che hanno esaltato la supposta originalità del risultato.
Eppure, come nel carpenteriano The Ward, la ripetizione dell’identico è la figura chiave di It Follows: ripetizione di situazioni interne (i diversi segmenti narrativi si ripetono varie volte nell’arco del film), ma soprattutto di situazioni esterne al film stesso. Le citazioni sono un elemento portante del film di Mitchell. Ma ciò che salva It Follows dallo sterile citazionismo di opere analoghe del genere, è la scelta del regista di non dare precise coordinate temporali alla vicenda narrata; una scelta, questa, che sostanzia il film come opera teorica.
Quando si svolge It Follows? L’atmosfera è indubbiamente anni Ottanta. Il cinema, l’arredamento degli interni della casa della protagonista Jay, le automobili, le televisioni… Le citazioni: Halloween, La cosa, Shining, Nightmare – Dal profondo della notte… il soundtrack carpenteriano… Tutti elementi fortemente connotati da un punto di vista temporale. La stessa critica americana ha sottolineato come lo stile, i modelli di riferimento e l’ambientazione del film rappresentino un ritorno a un cinema teen horror praticato proprio negli anni Ottanta. Eppure. Una delle sorelle di Jay legge un ebook; la prima vittima, all’inizio del film, utilizza un telefono cellulare… Gli anni Ottanta di It Follows, dunque, sono continuamente presentificati. È questa l’intuizione chiave dell’operazione di Mitchell: It Follows si svolge fuori dal tempo, in un eterno presente, perché questo è lo spazio metatestuale nel quale nasce e si sviluppa l’horror americano contemporaneo, fra citazioni più o meno esplicite, stereotipi e appunto ripetizioni.
Il film di Mitchell, allora, non è un film che si sarebbe potuto girare negli anni Ottanta, come ha scritto parte della critica, ma è un film del presente proprio perché situato fuori dal tempo, in un continuum che abbraccia la storia del cinema horror americano dalle origini.
È possibile, si chiede Mitchell, girare un horror come se fosse il primo, come se Carpenter non avesse mai girato un film? È possibile riacquistare la verginità perduta?
Che il discorso di Mitchell sugli anni Ottanta sia soprattutto teorico lo si capisce da una delle sequenze chiave di It Follows. Per lo spettatore, il primo appuntamento tra Jay e il ragazzo che frequenta, all’inizio del film, avviene proprio dentro un cinema. Non un multiplex, ma un cinema di provincia, vintage, anni Ottanta. In una sequenza dal forte valore metaforico, Jay propone al suo ragazzo di fare un gioco, e gli chiede chi vorrebbe essere potendo scegliere tra gli spettatori presenti in sala. Lui le dice che vorrebbe essere un bambino, perché, dice, è libero. Ovviamente, come nota Gloria Zerbinati su CineforumWeb, la metafora sessuale della sequenza è ancor più evidente dell’aspetto metacinematografico: un topos del teen horror, infatti, è la scoperta della sessualità come superamento di un confine, come momento di passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Nel film di Mitchell, però, la libertà di cui si parla è anche quella del regista e del suo immaginario. È possibile fare un film senza citarne altri? E, soprattutto, è possibile per un horror?
It Follows è un’operazione autoriflessiva in quanto pone apertamente la propria natura di film derivativo, tributo anni Ottanta. Ma non lo è per gioco postmoderno, bensì perché l’horror, oggi, non può esistere sotto altre forme. Di più: il cinema horror anni Ottanta fa parte dell’inconscio collettivo del genere, se è vero, come dice Mitchell, che il suo film vuole ricalcare i meccanismi dei sogni. È questa l’intuizione di Mitchell: l’eterno presente in cui è ambientato il film è l’eterno presente della storia del cinema; la cosa che cambia forma, ma non cambia sostanza, è la citazione, a cui è impossibile fuggire.
Non è un caso, allora, che la cosa di It Follows sia vista per la prima volta dentro un cinema. Non è un caso che il film di Mitchell, con il passare dei minuti, ripeta le medesime situazioni (con leggere variazioni, che dipendono proprio dai film citati: Halloween, Il bacio della pantera…). E non è un caso neppure che It Follows finisca nella stessa stradina immersa nel verde della sequenza iniziale in cui le due sorelle parlano dell’appuntamento della serata precedente. Mitchell è costretto, come i suoi protagonisti, a ripetere le stesse azioni, a girare lo stesso canovaccio di film, più e più volte, perché in quell’eterno presente che è la dimensione del cinema horror americano contemporaneo i film non possono essere che teoria: non conta l’oggetto filmico, ma ciò che gli sta intorno. It Follows di Mitchell ribadisce, una volta per tutte, quest’evidenza, suggerendo una lettura teorica dell’impasse in cui versa il genere da decenni.