The Outsider
It e True Detective: dalla sinergia Stephen King-HBO nasce The Outsider, e l'interessante catalogo televisivo dello scrittore si arricchisce di un innesto di lusso
Mentre il sempre più smorto filone cinematografico kinghiano attraversa una fase di stanca, The Outsider arriva a confermare la vitalità della sua alternativa televisiva. Stephen King da tempo non più è un autore, né banalmente un marchio: è direttamente un genere, come lo è Shakespeare o Lovecraft. E se il catalogo degli adattamenti per le sale perde colpi tra multi-remake sprecati (Pet Semetery) e progetti potenzialmente epocali crollati sulle impalcature (La Torre Nera: il frutto di trent'anni di battaglie per i diritti finito ko al primo round), il nuovo medium di riferimento per il genere-King sembra davvero essere la televisione. Lo stesso scrittore-demiurgo (che sempre sovrintende agli adattamenti, con cinismo imprenditoriale da Walt Disney dell'horror) pare aver compreso che i tempi e le possibilità della miniserie meglio assolvano al compito di surrogato narrativo rispetto al cinema. King è autore estremamente più letterario di quanto non sia visivo, e infatti nei 90-120 minuti non ha quasi mai funzionato; dal classico e amatissimo Salem's Lot CBS di Tobe Hooper ai buoni lavori recenti su 22/11/63 o The Dome, la tv non avrà forse regalato capolavori assoluti, ma rispetto alla sciatteria di molti deprimenti direct-to-video gli spazi di movimento restano maggiori.
The Outsider non è il lavoro più originale di King, ma la serie, come il libro, può essere un buon viatico per approcciare la sua produzione più recente: meno alter ego e biografia, più poliziesco, procedurale e grande romanzo hard-boiled. A curare l'adattamento c'è un maestro come Richard Price, scrittore e sceneggiatore che ha in curriculum molti dei noir urbani fondanti degli ultimi trent'anni (Scorsese, Lee, Simon). Il soggetto da cui prendono le mosse i dieci episodi vede la squadra di polizia di Cherokee City guidata da Ralph Anderson (Ben Mendelsohn) arrestare l'allenatore di football scolastico locale Terry Maitland (Jason Bateman, anche regista per un paio di puntate). L'accusa: stupro e omicidio di minore, con tanto di vilipendio di cadavere e cannibalismo. Un ragazzino del posto è stato trovato violentato e sbranato, e testimoni inattaccabili identificano Maitland come responsabile unico. Purtroppo, altrettanto inattaccabili testimonianze vogliono Maitland contemporaneamente presente a un convegno lavorativo, 60 miglia dal luogo del delitto.
Il piccolo nucleo di cittadini protagonisti (sbirri, avvocati, addetti alla sicurezza, baristi e mogli al seguito) si vedrà costretto a prendere in considerazione le spiegazioni più oscure, e ad affidare l'indagine dell'inconoscibile alla solitaria e semi-autistica detective Holly Gibney (Cynthia Erivo).
Il marchio HBO rende inevitabile collegare l'operazione The Outsider con la matrice True Detective, e più indirettamente con tutta l'ondata di polizieschi raggelati e esistenzialisti che dalla prima, inflazionatissima stagione del drama di Nic Pizzolatto hanno preso le mosse. La miniserie di King/Price ha molto in comune a livello stilistico con quegli ormai nel bene e nel male seminali otto episodi; conta magari caratteri più rozzi, ma gode di un plot migliore e di un materiale di partenza che non si vergogna di affrontare i suoi testi ispiratori, anziché plagiarli e sublimarli a colpi di aforismi e monologhi. La presenza effettiva dell'horror, dei suoi stilemi e del suo retaggio, è ciò che scombussola le carte, e porta The Outsider a divergere dai più ovvi modelli. Quello di King non è un orrore metaforico, o puramente teorico (e infatti Price, abituato al positivismo del procedural, fa fatica a dargli voce); è un inumano assai concreto, per quanto invisibile, che sbrana bambini e, come Pennywise e tanti altri boogeymen dello scrittore, si giova della legnosità razionalista che impedisce alla società di affrontarlo.
Confrontarsi con categorie dell'essere che non hanno volto né corpo né nome; il tema della serie è il lato invisibile del mondo, un invisibile ontologico quanto drammaticamente vero. L'orrore è uscito dalla teoria e dal mito, e ora è qui, cammina con noi come il fuoco di Bob in Twin Peaks, e muovendosi su una dimensione solo appena più sfasata rispetto alla realtà fenomenologica (è sempre, sempre, Lovecraft) ne sfugge implacabile le categorie. Lo spietato pragmatismo della middle class diventa di riflesso l'oscurantismo che impedisce di vedere il disastro incombente sulla piccola società umana (altro tema eterno di King). Lo spettro, derridianamente, può esistere o non esistere; ma i suoi effetti sulle storie degli uomini, restano più che reali.
È quindi un punto chiave come, nella pur adeguatamente traumatizzata congrega di eroi, a rapportarsi non tanto con il mostro, quanto con la possibilità della sua esistenza, sia solamente il secondo Outsider del racconto. Il personaggio del medium appare spesso in King; raramente come eroe, più spesso come condannato, catalizzatore quasi messianico di quelle forze altre che attraverso di lui invadono la realtà quotidiana. La profeta Holly Gibney (primo personaggio complesso in carriera per Cynthia Erivo, che infatti brilla e si diverte), un caso perso di monomania che passa le nottate a guardare le macchine sfrecciare sotto il suo appartamento vuoto, sembra sapere tutto; ma è il capire di non sapere a spingerla oltre i compagni. Affonda nella disperazione invece la stolidità intellettuale del personaggio di Mendelshon (altro grande caratterista ricollocato dopo una carriera da villain in un ruolo dolente e sfumato), costretto a confrontarsi con la finitezza della sua visione chiusa ed empirica del mondo.
Ovviamente poco o nulla è veramente perfetto in The Outsider, e per quanto competente e interessante non riuscirà probabilmente a insediarsi nella memoria collettiva (come peraltro a pochissimi adattamenti dello scrittore è finora riuscito). Forse si trascina, sicuramente un paio di episodi sono di troppo, magari lo scontro finale non rende e l'impianto visivo non è al livello dei capolavori HBO di questa stagione (Chernobyl su tutti). È però un grande racconto pop, che ostenta le sue radici popolari senza vergognarsene e comprime con stile un materiale difficile senza perderne in complessità. Non da tutti.