Il tocco del peccato
Premiato per la Miglior sceneggiatura a Cannes 2013, Jia Zhangke fotografa le contraddizioni economiche e sociali del suo paese confermandosi tra i grandi registi del contemporaneo.
Lo spread, la divaricazione, c’è anche in Cina. La forbice tra ricchi e poveri si aggrava. La ‘linea nera’ trionfa, avrebbe detto Lin Piao. Ed eccola la Cina dello ‘spread’ che cancella libertà e eguaglianza e spoglia della dignità individuale milioni di cittadini istigandoli alla ribellione: un minatore infuriato compierà la sua vendetta quasi in trance religiosa; un lavoratore del ciclo interno dell’emigrazione, impazzito, gira il paese con una moto da Steve McQueen seminando morte con la sua pistola; una addetta ai servizi (sauna e bagni) si difende con il pugnale da una aggressione mafiosa e da una moglie tradita; un operaio flessibile ma perennamente disoccupato, come nel Grido, si suicida per amore, ma anche perché non vuole finire triturato in una azienda con il boss di Taiwan; una prostituta giovane che ha perduto ogni speranza per il futuro, ma possiede ancora una misteriosa forza ‘dentro’…Non è una Cina di propaganda, neanche negativa, quella che pulsa di contraddizioni e corruzioni in questa rapsodia in nero, in questo catalogo di angeli sterminatori che agiscono dal nord al sud, nello Shanxi, Chongquing, Hubei e Guangdong: fabbriche (mai viste tante in un film recente) che trasformano la forza lavoro in serial killer di geometrica potenza, o in nuda vita aizzata al suicidio; bordelli di stato per nuovi ricchi che sbeffeggiano i ‘distaccamenti rossi femminili’; criminalità organizzata che fa il minuetto con le zone dark del Pcc, i treni ad alta velocità che non hanno bisogno di traforare montagne radioattive per seminare morte e terrore…
Piuttosto, finalmente un film cinese capace di spiegarci nel profondo, al di là delle versioni ufficiali scioviniste o di quelle occidentali più denigratorie, cosa vuol dire ‘miracolo economico’, ‘boom’ di immane impotenza. Quali sono i pericoli dell’improvvisa prosperità e delle trasformazioni traumatiche nelle campagne e nelle città. E che, nella fluidità del racconto, sembra addirittura un riuscito racconto morale di Zhang Yimou o un dramma nichilista alla Peckinpah o un combattimento di Bruce Lee, capace di guardare in faccia criticamente i miti e i riti patriottici e di farsene beffe. Che sa lavare i panni sporchi in casa. Omaggio, anche nel titolo, al grande maestro del cinema cinese King Hu, re del filone wuxia, punto di riferimento di un narrare appassionante e aderente ai conflitti storico politici del presente e del passato, Il tocco del peccato, film a episodi, tutti ispirati a recenti fatti di cronaca nera realmente accaduti, segnale di una mutazione antropologica devastante, ci ha commosso più di altre volte per la capacità che ha Jia Zhangke questa volta di raccordare, con passione fredda e atonale, musicalmente a strappi, le lacerazioni che dividono la Cina di oggi – con una crescita del Pil direttamente proporzionata alla crescita dello scontro sociale e al livello record di tumulti mai verificatesi dagli anni della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria – con il passato remoto del paese, con la sua economia di mercato allargato lenta e secolare, a scoppio ritardato, forse. Ma, come scriveva già l’economista liberale Adam Smith, dalle basi più solide rispetto al capitalismo distorto e caduco all’inglese, imperialista, devastante e calvinista.
Qui il buddismo (Touch of Zen era il titolo di un capolavoro del genere ‘kung fu’ del maestro King Hu), si avverte, è in grande rinascita, una filosofia del combattimento, della prassi, della comunicazione individuale e collettiva, come le antiche tradizioni culturali e marziali (il teatro e la letteratura popolare, gli artisti di strada, il tempio di Shaolin…) che non mollano la loro funzione di ‘aizzare’ alla giustizia e perfino il neo-maoismo, non quello mummificato, ma la teoria rivoluzionaria capace di riaggregare e dare vera violenza alla ribellione celibe, possono riattivarsi e puntare alla coesione trasformatrice. Bruce Lee assumeva di fronte ad ogni nemico una tecnica di lotta mutante, ‘rubata’ via via a un animale differente. E qui, in queste lande fotografate alla maniera dei paesaggisti classici, si aggirano muli, serpenti, anatre…