I Wish I Knew

di Jia Zhangke

Una rapsodia della città postmoderna, una riflessione sulla memoria. "I wish I knew" è il film liquido per eccellenza.

I wish I knew - recensione film Jia

Un leone di pietra che ruggisce. In questa immagine, una delle più memorabili di I Wish I Knew, si potrebbe trovare il senso ultimo del film: il passato e la sua invisibile presenza sembrano animare la città di Shanghai in un'opera a metà tra la rapsodia della città postmoderna e una riflessione sulla memoria e sul peso del passato che si proietta, come un'ombra, sullo schermo del presente.

Presentato a Cannes 63 (2010), il film di Jia Zhangke costruisce un'opera eclettica e di complessa definizione. Jia Zhangke è uno dei massimi autori del cinema cinese contemporaneo e uno di quelli che ha saputo maggiormente mettersi in gioco sul piano personale, estetico e politico. Anche quando avrebbe potuto ripetersi o ritrarsi nel porto sicuro dello stile e della firma d'autore, Jia si è raramente accontentato ed ha sempre saputo trovare nuovi sguardi e voci attraverso cui descrivere la Cina contemporanea, la storia delle sue travolgenti trasformazioni e le implicazioni di questo vortice di cambiamenti. Un vortice che lascia disorientati, alla ricerca di un filo conduttore o, quantomeno, di alcuni punti fermi. Questi punti fermi e questo disorientamento sono i due fuochi, paradossali, entro cui si muove e insiste I wish I knew.

Si tratta di uno dei film più sfuggenti e stratificati del regista di Fengyang. Per comprendere quest'opera, è preferibile adottare la metafora del crocevia e dell'incrocio a quella, consueta, della tappa nel "percorso" artistico dell'Autore: I wish I knew incarna un confine poroso tra generi e sguardi, un luogo dove suggestioni e stili della sua intera filmografia sembrano trovarsi in equilibri nuovi. Il più evidente di questi incroci è quello tra l'opera d'autore e il cinema-commercial, in odore di pubblicità ma senza cadere nelle banalità della promozione turistica. Nato in occasione dell'Expo di Shanghai del 2010, I Wish I Knew mette in scena la città come protagonista assoluta: un luogo soggetto a vorticosi cambiamenti, un luogo tanto geografico quanto simbolico, una celebrazione (in minuscolo) della megalopoli verticale e delle sue sontuose scenografie urbane. Non a caso, tra i diversi testimoni intervistati da Jia nel corso dell'opera, troviamo la figlia dello straordinario regista Fei Mu (l'autore del classico Spring in a Small Town) e Hou Hsiao-hsien. Shanghai è sempre stata una città del cinema, creatrice e consumatrice di immagini e oggi, come ogni metropoli del Ventunesimo secolo, una città globale ricoperta di schermi e offerta a misura di foto o videocamera. L'opera riflette questa doppia natura, mutando in continuazione tra il registro realista e l'estetica patinata di un'installazione artistica, scavando nella genesi della città e di ciò che rappresenta nell'immaginario visivo.

Un altro luogo di confine è quello tra il documentario e la finzione: il limes tra i due modi dello sguardo è quanto mai sfuggente e non convenzionale, e nelle opere precedenti di Jia era già liquido, ma I Wish I Knew complica ulteriormente questa terra di nessuno e scardina qualsiasi tentativo di definizione. La figura sfingea di Zhao Tao, il cui corpo è inscritto nelle intenzioni e inquietudini dell'autore, si aggira per la metropoli e per le sue immagini. I suoi sguardi e i suoi passi figurano come i segni di interpunzione di una lunga, elaborata pagina della storia e della memoria. La memoria - della città, dei suoi abitanti, del cinema – è al centro di I Wish I Knew , e per evocarla l'autore ricorre a diverse strategie, evolvendo il proprio linguaggio rispetto a 24 City, la sua opera precedente, anch'essa dedicata a raccontare il nesso tra città e memoria. Qui non si procede più in ordine cronologico, ma percorrendo i fili della suggestione, le associazioni visive e i ricordi degli uomini, disordinati e vivi nella loro imperfezione.

L'esito di questo esperimento di confine è imperfetto, a volte goffo, ma ipnotico e straordinariamente sincero. I Wish I Knew è più cacofonico che sinfonico; è un oggetto ellittico che, assieme al film "gemello" 24 City, sembra orbitare in modo indipendente rispetto al resto della filmografia di Jia. Eppure, da questi due "documentari" (è così che vengono comunemente definiti dal logos classificatorio degli archivi cinematografici e dei motori di ricerca, anche se qui l'etichetta è quanto mai fuorviante) è possibile trarre uno sguardo nuovo e fresco sulla poetica di questo autore tanto imitato quando inimitabile. Vedere, per esempio, che ognuno dei suoi film è un film sulla città, e che l'intera filmografia della generazione di registi cinesi a cui appartiene Jia non ha fatto altro che parlare di questo: della città moderna, di questo ecosistema così nuovo e innaturale in cui cerchiamo stabilità e radici e in cui scopriamo di essere piccoli piccoli, ombre simmeliane che corrono elettrizzate su uno schermo urbano così grande da farsi nicchia ecologica.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 22/05/2022
Cina, 2010
Regia: Jia Zhangke
Interpreti: Zhao Tao
Durata: 125 minuti

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