Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà

A passo di danza Ken Loach firma un racconto politico raffinato che non sente il bisogno di salire in cattedra

In viaggio tra la grande crisi del ’29 e i conflitti politici d’Irlanda, Jimmy Gralton è passato alla storia per esser stato il primo ed unico irlandese cui è stata imposta la deportazione dallo Stato, avvenuta nel 1933. I motivi, ovviamente politici, coinvolgevano la sua attività sul territorio e i contrasti con gli esponenti della Chiesa Cattolica, infiltrata nella società e nella cultura locale ben più di ogni altra forza radicale. La lotta per Jimmy era il Revolutionary Workers’ Group, un comitato civile che anticipò il Partito Comunista Irlandese nell’unire contadini ed operai ed offrire loro conoscenza e libertà, e danza. Ed è quest’ultima che Ken Loach pone al centro del suo film, costruendovi attorno un racconto di lotta politica che parla anzitutto della libertà di essere felici.

Una volta tanto i titolisti italiani non hanno lavorato troppo di fantasia. Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà è effettivamente tale, una storia politica i cui personaggi esprimono la propria lotta attraverso anzitutto la volontà di essere liberi, di essere felici. Chiave di volta del loro racconto è non a caso la danza, che calata in un contesto religioso bigotto e reazionario assume i contorni di un gesto rivoluzionario.

Non è la prima volta che Ken Loach ci parla della guerra civile irlandese, dei fratelli contri i fratelli e del nemico inglese, ma questa volta a regolare e determinare le vite di entrambe le fazioni troneggia la Chiesa cattolica, la cui fotografia ci racconta un’istituzione conservatrice ma a suo modo onorevole, non priva di forti dissonanze interne. Per essa il vero pericolo non sono soltanto i libri, l’istruzione politica, la libera conoscenza artistica, ma anche e soprattutto la danza, specie quella jazz che Jimmy importa assieme ai suoi dischi dall’America. Il charleston, le pose da flapper, gli assoli di sax si caricano di valore politico e morale se inseriti all’interno di una società rigida come quella propagata dalle istanze più vecchie della Chiesa irlandese. Qui Ken Loach, nel suo stile come di consueto raffinato e ultraclassico, ci parla ancora una volta di politica, ma lo fa riflettendo su uno dei nodi cardine della società anglosassone ovvero il rapporto tra divertimento e peccato, o in altri termini libertà e controllo. Quello che intacca Jimmy e la sua sala da ballo è l’intimo assioma del cattolicesimo più intransigente, per il quale la libertà del divertimento contiene intrinsecamente la via al peccato. Quello che rivendicano Jimmy e i suoi compagni di battaglia (non a caso principalmente giovani) è allora la possibilità di essere frivoli, di essere disinibiti, di divertirsi, di avere una vita più libera e felice grazie tanto alla formazione culturale e politica quanto al pieno controllo del proprio corpo e del proprio tempo libero, istanze che come ci insegna tra gli altri Foucault sono spesso le prime vittime del potere.

E’ grazie a tale consapevolezza che Jimmy’s Hall riesce a svincolarsi dai dettami spesso didascalici del cinema engagé per farsi racconto più puro e brillante, libero come un passo di danza azzardato in una sala da ballo in mezzo alla campagna. Arrivato a quello che potrebbe essere il suo ultimo film di finzione (almeno a quanto dichiarato di recente), Ken Loach dimostra di saper firmare di nuovo un cinema impegnato senza sentire il bisogno di salire in cattedra.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 18/12/2014

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