Ka Drita?

ccoci con il secondo appuntamento, nel nostro percorso che ci condurrà ad analizzare la filmografia di Andrea Segre. Regista di documentari perlopiù, ed anche questa volta ci troviamo dinanzi ad un lavoro che come primo scopo ha proprio quello di documentare. Lavoro dal timbro totalmente diverso questo Ka drita? rispetto al precedente Lo sterminio dei popoli zingari, è ciò che realmente può essere considerato il risultato di un lavoro collettivo. Siamo nel 2001, ed il nostro Andrea Segre partecipa a questo progetto nella veste di Presidente dell’associazione culturale Tonicorti di Padova; il lavoro è estremamente ambizioso: raccontare, o riuscire quantomeno a fornire un quadro credibile, della situazione in una metropoli albanese come Valona, al principio del nuovo millennio.

La traccia scelta per portare avanti un cammino tanto tortuoso quanto intrigante – aggettivi che connotano una realtà tanto vicina a noi geograficamente, quanto distante da un punto di vista culturale – è l’assemblaggio di quattro storie distinte e slegate, raccontate come fossero istantanee che, qualora poste una di seguito all’altra andrebbero a incastonarsi formando una panoramica della situazione nella città albanese. Un operaio oramai in pensione, ancora legato al suo passato e alla sua professione, legge con disincanto il mutare dei tempi, il progresso inesorabile e tiranno, il dissolversi di una quotidianità che per anni è stata immagine della sua vita; il comunismo è oramai un ricordo e la nuova Albania assume un volto a lui sconosciuto. Volto anche di donna, pronta – seppur con rimarchevole ritardo – a pretendere un posto di rilievo nella Valona che attraversa la soglia del Duemila, non più angelo del focolare ma studentessa universitaria, donna in carriera. O altro ancora: infermiera per esempio, come le due coinquiline di Evira; tre donne che vivono da sole a Valona. Una rarità che sfiora l’unicità, ma la loro ostinata volontà le ha condotte a costruirsi una vita che molto somiglia a ciò che sognavano. Evira è un’interprete per un’associazione americana, insegna ai bambini nel tempo che si ritaglia; c’era anche lei nel 1997, quando gli studenti scesero i piazza, nei giorni durissimi della rivolta. Oggi racconta la sua storia con un orgoglio che trasuda da ogni parola, al quale è impossibile non trovare giustificazione. C’è chi poi racconta Valona dal punto di vista più lugubre, quello di una città sfruttata e mal amministrata, lasciata al degrado e incapace di gestire un fiume in piena (che osservato da un cittadino romano, nel post-apocalisse da capitale innevata, lascia il gusto amaro di chi può capire); città pronta a diventare polo turistico ma ancora immatura, dove il pubblico interesse perisce sotto i colpi del privato tornaconto, dove la coesione sociale è ancora lontana dalla forma ambita. Valona pulisce ancora le sue ferite, ma inizia ad intravedere la luce alla fine del tunnel.

Lavoro come detto fuori registro rispetto a ciò che Andrea Segre si apprestava a divenire, ma comunque sia in linea con le tematiche del suo cinema, con la sua attenzione alle minoranze che pian piano emerge, germoglia, come una vocazione, fino a crescere ed esplodere, nei suoi lavori successivi.

Autore: Marco Giacinti
Pubblicato il 23/08/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria