La vita invisibile di Eurídice Gusmão
Il film di Aïnouz è un’elegia sull’amore malriposto e sulle corrispondenze mancate, una carezza alle donne che resistono alla disumanità di certi uomini e agli sconquassamenti del destino.
Amarsi tanto, d’un amore festante, fatto di complicità e risa, e poi, d’improvviso, credersi lontane, divise, perdute, fino a diventarlo davvero, lontane, divise, perdute. La vita invisibile di Eurídice Gusmão, il film di Karim Aïnouz che ha trionfato nella sezione Un certain regard di Cannes 2019 e viene ora distribuito nelle sale italiane da Officine Ubu, è un ritratto toccante della separazione ingiusta e forzata di due indivisibili sorelle nel Brasile degli anni ’50 a causa delle idee retrograde di un padre crudele, riflesso di una cultura patriarcale dominata dal machismo.
Che Guida (Júlia Stockler) e Euridice (Carol Duarte) si staccheranno l’una dall’altra – per poi cercarsi, chiamarsi, rincorrersi, fino a smarrirsi del tutto – lo si intende già nell’incipit onirico e simbolico, quando le due giovani donne finiscono per allontanarsi e le voci, come in cerca di spettri, invocano invano il nome altrui tra la natura oscenamente lussureggiante di un bosco sopra le alture di Rio de Janeiro (che è di per sé chiaramente allegorico, un invito ad abbandonarsi mollemente e lascivamente all’esuberanza vegetale).
È questa scena iniziale, preternaturale e sospesa, fotografata con una certa granularità e vividezza da Hélène Louvart e accompagnata dalla musica diafana di Benedikt Schiefer, a fissare il tono del racconto, a farne sin da subito un melodramma fosco, dai toni (pre)romantici, fatto di vecchi pianoforti su cui suonare Chopin, di vento e luce cangiante (come per l’arrivo di un temporale) spesso filtrata dalla vegetazione, dalle nuvole o dalle finestre, di interni ombrosi e inquieti, di scambi epistolari, lettere scritte a mano con passione e aspettativa, ma mai ricevute.
Una perfetta corrispondenza lega queste scelte di scrittura e regia alle vite delle due protagoniste, alle violenze subite e alle storie d’amore fallite di Guida e Euridice, la prima sedotta, illusa e tradita dal marinaio greco con cui decide di fuggire, finendo ragazza madre e facendosi ripudiare dal padre, la seconda sposata con un uomo che vorrebbe relegarla alla cura domestica, al soddisfacimento sessuale e alla procreazione, indifferente ai sogni e desideri di lei.
In La vita invisibile di Eurídice Gusmão un alone di saudade avvolge le case, i vestiti (che si vorrebbero fare a pezzi perché hanno addosso le colpe di chi li indossa), gli sguardi, come se tutto fosse tremendamente instabile, fragile, pronto a cedere sotto i colpi del destino e del tempo, a disgregarsi fino all’ultimo atomo. Il film di Aïnouz è un’elegia sull’amore malriposto e sulle corrispondenze mancate (sia nella relazione di coppia che nel rapporto reciso tra le sorelle), una carezza alle donne spezzate da uomini infami e dal modello societario che hanno costruito.
Da questo punto di vista il regista e videoartista brasiliano mostra una delicatezza e un pudore straordinari, arrivando a sfocare l’immagine di Euridice nel momento in cui si palesano i segni più strazianti della psicosi a cui le menzogne del padre, l’assenza della sorella e l’estraneità del marito l’hanno portata. E sebbene, a differenza di altri lavori di Aïnouz, qui i temi LGBT non vengano toccati direttamente, non si può non vedere nella scelta di far evolvere la convivenza di Guida e di suo figlio con l’ex prostituta Filomena in una vera e propria famiglia, una favorevole disposizione alla genitorialità lesbica e alla famiglia di fatto. Un’idea di progresso e di libertà molto differente dall’aberrante disegno politico regressivo di Bolsonaro.
Nonostante il film non eluda mai la rappresentazione delle tante forme di crudeltà e insensibilità di cui soprattutto gli uomini si macchiano e non trascuri di mostrarne le conseguenze, La vita invisibile di Eurídice Gusmão è un’opera dedicata alla forza delle donne, alla loro capacità di resistere alla disumanità di certi comportamenti, agli sconquassamenti di certi destini.