Destroyer
Dopo l'ottimo "The Invitation", Karyn Kusama torna dietro la macchina da presa con un noir dal respiro classico, sorretto dall'interpretazione fisica e sofferta di una rediviva Nicole Kidman.
In tempi di revenge movie tutti giocati in chiave action e adrenalinica (da Taken a John Wick), è curiosa la scelta intrapresa da un prodotto a questi solo apparentemente assimilabile come Destroyer, ultima fatica della regista statunitense Karyn Kusama. Perché la discesa agli inferi del detective Erin Bell (Nicole Kidman), ex agente federale tormentata dal peso del passato e da una missione sotto copertura finita in tragedia, è quanto di più lontano si possa immaginare da qualsiasi fiero prodotto di serie b, quanto di più distante da un approccio fumettistico e rabbioso a una materia che pare comunque inesauribile.
Alla sua sesta regia, Kusama sceglie così, per la sua storia fatta di sensi di colpa e redenzione, di percorrere una strada più riflessiva e sofferta, contaminando la spirale di violenza scatenata (involontariamente?) dalla sua protagonista con tinte cupe e crepuscolari, prendendosi tutto il tempo che serve per svelare un mistero a questa legato indissolubilmente.
Per farlo mette in scena tutti gli elementi del più classico dei noir metropolitani - da una Los Angeles fatta di ville e bettole a un passato che ritorna con il suo carico di rimpianti e di crimini insoluti - scomponendoli, però, attraverso il proprio sguardo peculiare e costruendoci attorno un film in cui è proprio il peso del passato a dettare regole e sezionare l'azione, in una struttura circolare dove i diversi livelli temporali e narrativi (così come gli stessi generi cinematografici: dal poliziesco all'heist movie) si alternano senza sosta fino a far collassare il tempo su se stesso.
E se poco o niente rimane del precedente (e sorprendente) The Invitation (fatta eccezione per le dinamiche quasi settarie della banda di criminali capeggiata dal mansoniano Silas di Toby Kebbell), è alle origini del proprio cinema e all'esordio di Girlfight, con quella donna forte e sola in mezzo a un mondo di uomini, che pare guardare ancora una volta Kusama, mantenendosi, però, questa volta, lontana da qualsivoglia discorso di genere (segnando così le distanze anche da prodotti recenti come il Revenge di Coralie Fargeat) e dando vita a un personaggio decisamente negativo, un antieroe irrimediabilmente compromesso ma desideroso di riscattarsi da un male che, in definitiva, ha contribuito a creare.
È qui, dove Dirty Harry incontra l'Abel Ferrara de Il cattivo tenente, che Destroyer dà vita a un calvario sofferto e degenerato, un tentativo di espiazione incapace, però, di andare al di là delle più abusate convenzioni del genere, perso com'è attorno alla sua camaleontica interprete, una Nicole Kidman invecchiata e imbruttita sopra le cui esili e malconce spalle pare posato tutto il peso dell'operazione.
Il risultato è un'opera suggestiva ma scostante, forte delle sue atmosfere e del suo nichilismo senza speranza, dove gli ideali precipitano nel baratro dell'avidità e la fascinazione per il male diventa una condanna che si mangia amori, affetti e qualsiasi possibilità di una vita normale, ma anche dove la suspense (a differenza di un film costruito proprio sull'attesa e sul disvelamento progressivo come era The Invitation) rischia di perdersi lungo la strada, penalizzata da un minutaggio eccessivo e da rallentamenti dell'azione a tratti gratuiti ed estetizzanti, fino a un epilogo che ha tutto il sentore di un prevedibile ed esibito martirio laico, tutta la consapevolezza di un'occasione (in parte) mancata.