The Kindergarten Teacher
Nadav Lapid descrive la problematicità del valore della poesia nel mondo odierno attraverso la storia di un bambino poeta e della maestra che tenta di proteggere il suo talento
Se già parlare di poesia è un atto che di per sé presuppone fatica mentale, trasporre la questione del linguaggio poetico in immagini significa riallacciare la parola alle visioni che evoca. Ma vi è anche un’ulteriore divisione del discorso, poiché parlare di poesia, e parlare di come creare la poesia sono due temi separati che richiamano approcci differenti. Il rischio maggiore è limitarsi ai luoghi comuni generatisi intorno a una pratica tanto valorizzata nell’immaginario culturale, quanto poco adoperata, o peggio, conosciuta. The Kindergarten Teacher , analizzando il senso della poesia nel mondo d’oggi, schiva ogni pericolo di facile celebrazione grazie alla scelta di un protagonista al di sopra di ogni sospetto di autocompiacimento intellettuale: Yoav, un bambino che a cinque anni inizia a scrivere poesie.
Nessuno prende realmente sul serio le sue opere; a molti viene più facile considerarlo un bambino strano, difficile, che talvolta, quasi preso da una possessione dell’anima, inizia a dettare i propri versi mentre cammina avanti e indietro. Solo la sua maestra d’asilo, Nira, anch’essa aspirante poetessa, è colpita dal precoce talento di Yoav. L’istinto di proteggere e far conoscere al mondo intero la sua arte la spinge prima a farsi interlocutrice preminente del bambino, poi a cercare appoggio nei suoi parenti e nello stesso scarno pubblico di appassionati di poesia, fino a trasformarsi per lei in una pericolosa ossessione.
The Kindergarten Teacher descrive infatti l’atto di resistenza promosso da Nira verso un mondo che sembra non solo non interessarsi della poesia, ma anzi la combatte strenuamente, come un atto che attraverso la bellezza e la sensibilità indebolisce e conduce l’individuo al dolore. L’infelicità come conseguenza della poesia è un’idea ripetuta nel film: sia il marito di Nira, che pensa che un bambino che scrive poesie abbia qualche problema, sia il padre di Yoav, che si rifiuta di incoraggiare l’inclinazione del figlio affinché non sia un adulto vulnerabile, promuovono il pensiero collettivo che la poesia disturbi, sia chi la fa che chi l’ascolta.
Ciò non significa che il film di Nadav Lapid descriva un’eroica lotta a senso unico contro i nemici dell’arte poetica, poiché l’ostinazione di Nira nel voler sostenere, difendere, stimolare Yoav raggiunge i limiti del lecito, e sembra nascondere la profonda vanità di potersi definire una paladina della Bellezza contro la meschinità del mondo. Due poli, questi, troppo accentuati e idealizzati per apparire verosimili entro le immagini prodotte dal regista, che al contrario propone, come sfondo della battaglia di Nira, i corpi e volti, soprattutto quello del poeta bambino, che ai propri versi illuminati risponde con l’imperscrutabilità di un viso muto di fronte ai continui tentativi della donna di provocare una reazione, un’intuizione, un’emozione.
Se il disinteresse degli adulti verso Yoav rappresenta la loro volontà di ignorare il suo lato “diverso”, l’eccessivo interesse di Nira, che ama la diversità del bambino a punto da insistere per costringerlo al ruolo molto specifico di Poeta, dimostra l’incapacità di concepire oggi la poesia come parte integrante, normale, fluida dell’esistenza. Benché ambientato in Israele, il film definisce un generale problema culturale, che vede la poesia o assolutamente non calcolata o anzi promossa a arte mitologica e sovrumana, e così ugualmente distaccata dagli esseri umani. Allontanarsi dal mondo che non capisce significa soltanto rafforzare la distanza da tutti gli altri: una scelta che solo chi ha già vissuto molto della vita può decidere di fare; e Yoav, con tutti gli altri piccoli presenti nel film, con i loro visi talvolta quasi appiccicati alla macchina da presa, riportano lo sguardo ad altezze umane, ricordandoci invece che la poesia inizia sempre così, nel mondo, da terra.