The Knick
La serie prodotta da Steven Soderbergh, cruda e affilata come il più elegante dei bisturi, lascia già presagire grandi cose
La lucidità teorica del cinema di Steven Soderbergh applicata a una serie sulla medicina americana del primo novecento: un bell’incontro, che pare fin da subito azzeccatissimo e pronto a dare frutti eccellenti. Clive Owen è un chirurgo del Knickerbocker Hospital di New York (noto appunto come The Knick), John Thackery, elegante e promettente, ma anche cocainomane. Nell’ospedale per cui lavora la medicina fa passi da gigante: siamo nel 1900, e negli ultimi cinque anni le scoperte in campo medico per la cura dell’uomo hanno fatto passi progressi a dir poco spaventosi tanto che, come dice lo stesso John: “Si è scoperto più nell’ultimo lustro che nei cinquecento anni precedenti”. Ma fantasmi e intrighi sono dietro l’angolo, e nonostante il fiorire dei metodi occorre anche fare i conti con una dose consistente di follia, per citare quell’Amleto cui allude il titolo dell’episodio pilota che Soderbergh ha anche diretto, appunto Method and madness. E The Knick, non a caso, somiglia proprio a un dramma shakespeariano, volutamente e palesemente, tanto nelle ombre che si addensano sull’immagine quanto nell’architettura morale che ribolle alle sue fondamenta. I primi due episodi della serie delineano un mondo della scienza all’alba del novecento diretto e pragmatico, simile a un’efficiente macchina da guerra: il sangue scorre a fiumi e le scene che mostrano concretamente le operazioni sui corpi umani e sui cadaveri non risparmiano alcun tipo di dettaglio macabro o realistico.
Soderbergh, cineasta da sempre attento agli ingranaggi più complessi e intellettuali del cinema contemporaneo, dà alla serie un’impronta registica di classe ma sparisce anche dietro la macchina da presa, orchestrando i movimenti di macchina con libertà e rigore e facendosi sedurre in più di un’occasione dalla partitura sonora (bellissima) del sempre ottimo Cliff Martinez. Il risultato è che la sua sobrietà, più un fioretto che un bisturi, fa da supporto per far decollare tutto il resto: Owen, tutto in sottrazione, è efficace, rigido e inquieto come non gli capitava da tempo; il fascino dell’ambientazione d’epoca naviga a vele spiegate; la scenografia, esplorata con maestria, restituisce la portata storica e culturale del contesto. Anche la medicina, insomma, può finalmente godere di una cornice seriale che ne indaghi le origini col giusto piglio amaro, lo stomaco serrato e senza alcun tipo di compromesso, né commerciale né sentimentale. The Knick, come se ne fosse bisogno, ribadisce che la serialità è oggi il territorio privilegiato in cui ricorrere alle concessioni del film d’arte - o portare semplicemente un po’ più avanti la ricerca formale - con il sostegno di una narrazione il meno instabile e azzardata possibile, piuttosto centellinata con perizia e con i piedi ben piantati a terra. In tal senso, la nuova serie targata Cinemax, scritta da Jack Amiel e Michael Begle, non difetta affatto di solidità, oltre che di realismo e di profondità.
Già il secondo episodio, infatti, Mr. Paris shoes, incendia le premesse del pilota e rende ancor più chiaro quanto il quadro sia eccitante ma ben poco luminoso e ottimista, quanto l’accidentalità del caso, cieco e implacabile, sia pronta a irrompere in scena anche mentre gli strumenti illuministi della ragione medica vanno affinandosi. E’ ancora presto, ma The Knick pare cogliere questa sanguigna, modernissima contraddizione tra fede irreprensibile nella giusta logica degli eventi e sua inevitabile défaillance. E allora ecco fare irruzione in apertura di secondo episodio la politica e i suoi molteplici scenari, che tutto offuscano e corrompono. Senza contare le massime fataliste (“Uno può solo fuggire e unirsi al circo, se il circo lo vuole”), che gettano più di qualche dubbio sugli orizzonti di un futuro che si vorrebbe roseo e denso di scoperte condotte nel nome del benessere dell’umanità. I prossimi episodi, senza garantire una fiducia eccessiva e prematura, c’è da scommetterci, avranno tutte le carte in regola per cavalcare quest’ambiguità e svilupparla, magari aggiungendo e portando meglio a compimento anche altri importanti temi sociali (l’assunzione di un medico di colore, ad esempio, già tirata in ballo e problematica per l’epoca) qui solo accennati.