La Constellation Jodorowsky

È interessante, o quantomeno curioso, notare come tre dei documentari monografici, che potremmo definire “frontali”, trattati sino ad ora all’interno della rubrica “Retrovisioni”, siano legati dal tema dei tarocchi. Ci riferiamo ai due film-saggio The Mindscape of Alan Moore e Grant Morrison: Talking with Gods e in particolare a questo La Constellation Jodorowsky di Louis Mouchet. Tutti e tre i personaggi raccontati nelle rispettive video-interviste corredate di immagini inedite e di repertorio lavorano nel mondo del fumetto, sono a modo loro dei moderni sciamani e nutrono una passione smisurata per le carte magiche nate in Europa, tra la fine del Medioevo e il Rinascimento.

Proprio a partire dallo studio dei tarocchi, il documentario di Louis Mouchet tenta di definire l’eclettica personalità di Alejandro Jodorowsky, svelando i retroscena e i segreti del passato, della sua letteratura e dei suoi film. Il pensiero dell’artista cileno viene esplorato anche attraverso i commenti dei suoi maestri, amici e “colleghi”, da Marcel Marceau a Peter Gabriel, da Moebius a Fernando Arrabal. Come accade anche negli altri due lavori sopracitati, il regista di La Constellation Jodorowsky sceglie di cominciare scavando nelle origini dell’intervistato per comprendere come il materiale biografico ed il vissuto dell’artista convergano nella sua opera. Jodorowsky è nato nel 1929 nella località costiera di Tocopilla in Cile, figlio di immigrati ebreo-ucraini. Si trasferì nel 1953 a Parigi, dove fondò con Fernando Arrabal e Roland Topor un movimento artistico di teatro-performance ispirato al surrealismo e alla ritualità pagana denominato “Teatro Panico”.

“Jodo”, come ama farsi chiamare dai suoi fan, è diventato ed è tutt’oggi il principale divulgatore della cosiddetta psicomagia, una vera e propria filosofia di vita che, tra le altre cose, si traduce in “una serie di atti dettati dalla voce dell’inconscio e trasformati nella surreale poesia di una quotidianità trasgressiva e onirica”. In estrema sintesi, la psicomagia è, secondo Jodorowsky, il metodo per vincere ed invertire le nostre paure e i nostri disagi, di modo da scuotere, con un atto paradossale, l’immobilità patologica di cui siamo prigionieri. Nel film di Mouchet, viene filmata una seduta di psicomagia, e da questo punto in poi il documentario cesserà di essere “convenzionale” , piegandosi alla poetica e ai ritmi schizofrenici dell’artista. Il regista si preoccupa pertanto di disegnare un ritratto il più possibile completo del soggetto in questione.

Muovendosi tra conferenze sui tarocchi, fumetto – ricordiamo almeno l’eccezionale collaborazione con Moebius e Milo Manara – letteratura, teatro, pittura e cinema, apprendiamo quanto Jodorowsky sia uno degli artisti più complessi e poliedrici con cui si possa avere a che fare oggigiorno. Per questo motivo, rispetto ai pur sempre geniali Grant Morrison e Alan Moore che però rimangono legati principalmente al mondo dei comics, trattare esaustivamente la sua opera è un’operazione piuttosto delicata e difficoltosa. Il suo universo filmico, ad esempio – debitore tanto del surrealismo di Bunuel e Arrabal quanto del realismo magico di Fellini – è popolato di martiri, puttane, carnefici, falsi profeti, cowboy santoni, freaks d’ogni genere e donne sensuali; mentre il suo studio accurato da solo necessiterebbe di anni di ricerca. Un pugno di film, Fando y Lis, El Topo, La montagna sacra, Santa Sangre e Il ladro dell’arcobaleno, sono sufficienti per dar vita ad un culto smisurato da parte dei più diversi spettatori. Basti pensare che nientemeno che John Lennon era solito dichiarare che El Topo fosse il suo film preferito in assoluto e che Franco Battiato adora La montagna sacra. Tuttavia, sia dalle parole dell’artista che da quelle dei numerosi altri personaggi chiamati in causa, si evince che l’intera opera di Jodorowsky, pur essendo spesso ostica, “difficile”, intrisa di grande spiritualità e misticismo visionario, sia in realtà finalizzata ad uno scopo “terapeutico”. L’arte è infatti il mezzo con cui lo psicomago cileno tenta di esorcizzare i propri demoni interiori e quelli del suo pubblico, ricercando una costante comunione esperienziale che rifugge l’appesantimento dei sottotesti e le sovrastrutture intellettuali e che tende invece alla liberazione della mente, alla sperimentazione sensoriale e alla ricerca del “nuovo”.

In definitiva è proprio il titolo del documentario a descrivere meglio chi è Jodorowsky. Non si tratta infatti di un uomo, ma di una costellazione, un ipertesto vivente in grado di dar vita ad un ecosistema culturale composito e proteiforme. Come direbbe Carmelo Bene, Jodorowsky non produce capolavori, è un capolavoro egli stesso. Se il documentario di Mouchet dovesse sedurvi, consigliamo di integrarne la visione con la lettura dell’ironico e seminale libro “Psicomagia” e dell’appassionante saga L’INCAL, superbamente illustrata da Moebius.

Ricordiamo che il film è contenuto nel cofanetto dedicato a Jodorowsky edito dalla sempre ottima Rarovideo. È sottotitolato in italiano ed accompagnato da un booklet con un intervento critico di Bruno Di Marino e numerosi estratti da libri di Jodorowsky, riguardanti gli argomenti più disparati. Il cofanetto contiene, inoltre, il cortometraggio Fando y Lis e i due film El Topo e La montagna sacra. Inutile dire che non averlo in casa sarebbe un peccato.

Autore: Tommaso Di Giulio
Pubblicato il 01/03/2015

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