La región salvaje

Tra fantascienza, horror, tentacle-porn e melò, il nuovo film di Escalante non ha il coraggio di intraprendere alcuna strada, rivelandosi piuttosto la parodia involontaria di Possession.

C’è un meteorite, all’inizio del film, che si schianta da qualche parte in Messico. C’è un creatura aliena, tentacolare e multifallica, che fornisce piacere e morte. Ci sono due coppie, quasi due doppi, che finiscono nelle grinfie libidinose di quest’essere che pare uscito da Possession di Zulawski.

Già promesso come l’opera-scandalo dell’ultima mostra di Venezia, il nuovo film di Amat Escalante è una compiaciuta giostra weird, un tentato mix di generi che imbocca tante, troppe strade, senza avere il coraggio di portarne avanti nemmeno una. C’è un’inquadratura che, da sola, riassume benissimo tutti i limiti del film: un suggestivo piano fisso, forse con un leggero zoom, dove tra le piante si spalanca la voragine di un buco nero. Un regno d’oscurità in cui però La región salvaje (bellissimo titolo!) non ha mai il coraggio di addentrarsi.

Il film di Escalante rimane sempre lì, a distanza, intrappolato tra le mille, splendide suggestioni di un film che è una vera e propria fiera delle possibilità. Tutto è continuamente disatteso: quando potrebbe virare verso la fantascienza si tira indietro, quando potrebbe entrare nell’horror più disturbante si blocca, quando potrebbe scegliere la strada del melò indietreggia spaventato, quando sembra andare verso le derive del soft-porn taglia. La sensazione, allora, è quella di assistere a un film vuoto, che non sa dove andare, che vive nelle atmosfere derivative di tanto, troppo cinema a cui si riferisce: da Reygadas a Zulawski, senza però avere l’afflato disturbante del primo né il corpo epilettico del secondo.

Perfino la riflessione incompiuta sul sesso, che pare il centro pulsante del film, risulta completamente decentrata. Sembra chiaro che l’arrivo del meteorite provochi un’esplosione di libidine, un incremento del desiderio, un’ipersessualità debordante. La stessa creatura regala a donne e uomini amplessi di straordinaria purezza: l’essenza del piacere è qualcosa di alieno o di divino (come già in Possession): come ogni corpo del desiderio, eccita e respinge, nel classico meccanismo di attrazione/repulsione di batailliana memoria.

Non stupisce dunque che questo piacere sia l’equivalente della morte: ma qui la rappresentazione del desiderio è depotenziata quanto quella della repulsione. Perché lasciare praticamente fuoricampo gli accoppiamenti con la creatura (un’unica inquadratura in tutto il film, guarda caso la più bella e conturbante)? Perché a questo punto non osare di più? Dove sono le vischiosità del mostro, i liquidi, lo sperma, il sangue, dov’è il segreto terribile e bellissimo, vitale e mortuario del sesso?

Più che scandaloso il film pare timido, crea suggestioni e misteri non per fede cieca nell’atmosfera, ma per mancanza di coraggio. La región salvaje finisce dunque per chiudersi in se stesso: l’occhio di Escalante non è scheggiato come quello dei cineasti a cui si ispira, è solo troppo reverenziale, troppo frenato, troppo incerto. Il film assume i tratti di una boutade, una parodia involontaria di Possession, l’enorme occasione mancata di chi voleva indagare i nostri istinti più profondi ma si ritrova incastrato nell’artificio digitale di un campo di animali che si accoppiano. Disturbante? Metaforico? Piuttosto paradossale: un film sull’erotismo privo di erotismo, che invece di virare nei recessi più irrazionali del nostro inconscio, rimane solo in superficie. Certo, resta la pelle seducente delle immagini, ciò che manca però è la carne.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 05/09/2016

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